L'angolo di Bertrando

Siamo solo bugie che attendono di essere svelate.

lunedì, gennaio 30, 2006

Illuminante

Ormai faccio parlare la Rete per me. Ecco un altro spunto di riflessione che mi coinvolge sin nel profondo. Che ne dici?

Amare e' soffrire. Se non si vuol soffrire non si deve amare. Pero' allora si soffre di non amare, pertanto amare e' soffrire, non amare e' soffrire e soffrire e' soffrire. Essere felici e' amare, allora essere felici e' soffrire, ma soffrire ci rende infelici, pertanto per essere infelici si deve amare o amare e soffrire o soffrire per troppa felicita'...

venerdì, gennaio 27, 2006

Quanti problemi per 'sta neve!

LA neve è una sciagura. Possibile che ci abbia colto così impreparati? Eppure erano tre o quattro giorni che si parlava di questa famigerata perturbazione siberiana. E’ questo il risultato di un’informazione tempestiva?
In questi giorni non sto bene, mal di gola e raffreddore modalità uragano Rita mi tengono chiuso in casa. Oggi dovevo andare dal dottore, per forza, altrimenti non mi passano più. Tiro su la tapparella e vedo almeno quaranta centimetri di neve per le strade e sui tetti. Infilo gli stivali di gomma, con doppia calza di lana, bardato come un cosacco e parto alla volta dello studio del mio medico, saranno sì e no cinquecento metri. Mi accorgo subito che i centimetri sono più di quaranta: traversando il parchetto sotto casa mia affondo fino al ginoccchio, che per la precisione dista dal mio tallone cinquantadue centimetri. In vita mia – breve, per l’amor di Dio, ma qualcosa lo posso dire – non avevo MAI VISTO NIENTE DI SIMILE. Forse quando avevo setteotto anni, ma da quando ho preso coscienza di me stesso, questa è la nevicata peggiore – migliore, per alcuni, cioè chi non guida, chi non sta male, chi non ha un caro in fin di vita perché l’ambulanza non riesce ad arrivara – che ricordi. Questo preambolo per dire cosa? Che siamo dei polli, tutti!
Uno. Nel tragitto che mi separava dal dottore, ho aiutato quattro automobilisti spingendo la loro auto. Tutti secondo la stessa dinamica: macchina parcheggiata in strada tutta notte, ricoperta all’inverosimile di neve, ripulita un attimo e “tanto sotto le ruote è pulito, mi basta prendere slancio”, li vedi bestemmiare con le ruote di trazione che slittano e sollevano schizzi a dieci metri di distanza, col risultato di spostarsi di due metri e poi inchiodarsi sul manto stradale. “Scusa mi puoi dare una spinta?”. Certo, sono un optimus cives, non ti negherei mai una mano! MA ti do del pirla. Sì, perché non è possibile non avere le catene. Meno di un mese fa, sotto Natale, le autorità raccomandavano di avere sempre le catene a bordo, per affrontare ogni evenienza. E la stessa cosa ripetevano i giorni scorsi. E perché tu non le hai? E poi, mettiamo che tu non le voglia prendere “perché tanto nevica così ogni dieci anni e poi non siamo mica in montagna”, se ti consigliano di metterti in macchina solo per casi urgenti, perché stai cercando di metterti in moto per andare in palestra? Sinceramente non capisco l’atteggiamento di molte persone. Io ne ho aiutati quattro, ma fra andata e ritorno avrò contato almeno altre cinque persone che aiutavano altri automobilisti. Io credo che il senso civico si dimostri non solo aiutando, ma capendo anche fino a dove si può arrivare, fermandosi quando ci si rende conto che si è un rischio – oltre che un peso – per gli altri. Dopotutto, un set di catene costa tra i trentacinque e gli ottanta euro, è una spesa che per la maggior parte di noi non è impossibile, e si fa una volta ogni dieci anni: che ci vuole?
Due. Noi non siamo ottimi cittadini, ma ottima non è nemmeno la nostra Amministrazione Comunale. Dove sono i mezzi spargisale e spalaneve di cui il Comune si vantava nel numero natalizio della rivista comunale? Mi pare fossero ben quattro, unico caso nel nordovest lombardo: usiamoli! Perché non ne ho visto nemmeno uno? Perché la strada è ricoperta da uno strato di neve di almeno dieci centimetri? Perché aspettare che diventi tutto ghiaccio? Non voglio pensare che abbiamo “prestato” i nostri mezzi ai Comuni limitrofi – meglio la pecunia che il cittadino contento? – e nemmeno che questo sia un classico espediente da spy-story dei Verdi per evitare che la gente prenda l’auto. Voglio sperare che questo sia solo un disguido dovuto all’improvvisa – ma è quattro giorni che ne parlano, se lo sappiamo noi, vuoi che non lo sappiano i nostri amministratori? – e inaspettata nevicata. MA c’è da mettersi le mani nei capelli…siamo nel Duemilasei…
Tre. Ieri sera, quando lo strato di neve si attestava ancora sui dieci centimetri, nonostante il mio stato di costipazione, sono andato a prendere mia sorella alla stazione – sì, perché mio padre ha fatto S. Donatoàcasa nostra in cinque ore – e sono rimasto fermo, in centro, davanti al negozio del mio parrucchiere, la bellezza di quaranta minuti perché un autobus ha preso male una curva e si è incastrato tra il passaggio a livello e un’abitazione. Ma è possibile? Sì, quando si costruiscono piste ciclabili che non hanno senso. Chiedilo anche a quel povero cristo che, evidentemente non scafato per quanto riguarda la viabilità del nostro Comune, in una curva ha preso in pieno il cordolo della pista ciclabile (invisibile perché ormai ricoperto di neve), e ha distrutto completamente una sospensione.
Per contro, vedo bimbi sorridenti che si prendono a pallinate e costruiscono un pupazzo di neve. Ehi, però…che succede?! Ecco che un bambino piange…”cattivoooooo, mi hai preso in un occhioooooo…io ti uccido!”.
Guardo il beato Starsky, il mio cane di cui scorgo solo il codino – fa schiantare, sta tutto sotto la neve! – e dico: “Nevica, mitico!”.

giovedì, gennaio 26, 2006

E la neve ritorna

Guarda i casi della vita. Giusto due mesi fa (26 novembre 2006) lanciavo da queste pagine i miei strali contro l’agente atmosferico più amato. Lo demolivo sotto il peso della mia depressione e della mia assenza di stimoli: cattiva, maleducata, ipocrita. Quante gliene ho dette!
E oggi è tornata, possibilmente dieci volte più intensa e capricciosa di due mesi fa. Incredibile! E’ da quando ho otto anni che non vedo nevicate così. Ai miei tempi – già, perché quando uno supera i venti può già dire che i tempi sono cambiati – nevicava così una, al massimo due volte. Ma così tante volte mai, era un evento eccezionale, la neve; e sì che mi divertivo!
Oggi invece la odio. Sì, non ho cambiato idea rispetto a due mesi fa. Mi sta sulle balle perché non mi consente di muovermi in libertà! Anzi, se possibile mi viene da aggiungere un’altra cosa: la neve è un cerottone. Un bel cerottone bianco su tutto quello che è presente – e che è stato passato. Cancella gran parte di quello che ti sta intorno, lo cambia, come in Matrix sei proiettato in un mondo “altro” contenuto in quello che stai vivendo e che, a seconda dei casi, ti premia o ti opprime. Dovrei adorarla, per questo motivo.
E invece no, passo la mia giornata a pensare che sono schiacciato tra bugie inconfessabili e sogni impossibili. E la neve non può farci nulla. E’ inutile, rassegnati.

martedì, gennaio 24, 2006

La Gioia e il Dispiacere

Ieri navigavo distrattamente sul Net quando queste parole hanno attirato la mia attenzione. E la mia ammirazione.

Allora una donna disse: 'parlaci della Gioia e del Dispiacere'
Ed egli rispose:'La vostra gioia è il vostro dispiacere smascherato.E lo stesso pozzo dal quale si leva il vostro riso, è stato sovente colmato dalle vostre lacrime.E come potrebbe essere altrimenti?
Quanto più il dolore incide in profondità nel vostro essere, tanta più gioia potrete contenere.
Quando siete felici guardate nelle profondità del vostro cuore e scoprirete che ciò che ora vi sta dando dispiacere è soltanto ciò che prima vi ha dato gioia.
Giungono insieme e quando uno siede con voi alla vostra mensa, ricordatevi che l’ altro giace addormentato sul vostro letto.
In verità siete sospesi tra dolore e gioia come bilance.'

domenica, gennaio 22, 2006

Bisogna fare qualcosa!

E’ venerdì mattina e come al solito mi alzo intorno alle otto. Salutino al cane e un paio di Macine pucciate nel tè – CLIC – la televisione è già pronta su Canale 5 dove il tg sta dando le news del mattino. –60°C a Mosca, un freddo che non si registrava da decenni che sta mietendo vittime. La cornacchia di turno mi sta dicendo che la colpa è mia – nostra! – perché inverni polari ed estati torride sono il risultato dell’effetto serra provocato dai nostri consumi. Spengo, mi vesto e mi fiondo in strada per andare in università. Faccio dieci passi e la mia attenzione viene attratta da uno spazio pubblicitario collocato all’ingresso del parchetto che devo attraversare. Basta sfruttamenti! E bla bla bla, un testo molto aggressivo che denuncia la pericolosità del capitalismo. Padroni a casa nostra! E bla bla bla, un testo ancora più aggressivo sul “pericolo” dell’immigrazione – clandestina? Son politici, ridacchio, però stamattina già tre messaggi mi han dato da riflettere.
Stazione. Giornale Metro. C’è una balena nel Tamigi. Che storia! E’ colpa dell’inquinamento dovuto ai sonar delle navi se quella povera balena muore. E se andiamo avanti così, molte specie si estingueranno! Ecco, il giornale mi dà un motivo in più per non andare in crociera… Arrivo in Cadorna e mi ferma un tizio della LAV. Lo sai che per fare i deodoranti che usi sperimentano su animali vivi? E che per fare la pelliccia che indossa quella signora i castori li squartano vivi? Bisogna fare qualcosa! Metti una firma? Vabè, firmo, è la coscienza che mi spinge a farlo…
Ma sono in ritardissimo e arrivo a lezione già iniziata. “In Italia siamo indietro in quanto a cultura…non viene finanziata adeguatamente…ci sono settori artistici che sono asfittici, e vanno avanti solo per la passione…bisogna fare qualcosa, perché se continua così entro 10 anni ci ritroveremo in un paese senza cultura…e un paese senza cultura non è un paese civile! Volete questo per i vostri figli?!”. E’ vero, ha ragione…qui i governi tagliano, tagliano, tagliano, e io dopo la laurea mi ritroverò disoccupato. E poi penso al mio pargoletto – quello che avrò fra quarant’anni – come potrò lasciarlo senza la Bohème?
La lezione comunque è piacevole, tanto che vola e mi ritrovo in pausa a leggere il Corriere. “Fra 150 anni Milano sarà sott’acqua”. Bla bla bla, a causa del surriscaldamento del pianeta il livello degli oceani salirà, perché si scioglieranno i ghiacciai, quindi dobbiamo fare qualcosa, ed è colpa nostra. E poi un articolo correlato dice: “Non dimentichiamoci delle foreste pluviali: le stiamo uccidendo”; è una breve intervista al Presidente del WWF sezione Italiana. Penso al mobiletto dell’Ikea appena regalatomi ieri, e mi vien voglia di riportarlo nel suo ambiente naturale.
Quanta negatività! Cambio…Gazzetta dello Sport. E anche qui… “I valori dello sport stanno morendo”. L’articolo di un Cannavò d’annata mi racconta che devo fare qualcosa perché non si perdano i valori dello sport uccisi dal dio denaro. Il calcio morirà, il basket idem, i miei figli si doperanno e non avranno loro figli e quindi il tasso di natalità in Italia scenderà ancora, e mi ritroverò in una nazione di vecchi, impantanata nella stagnazione economica e nella povertà visto che il welfare state attuale non sarà più applicabile quando il 70% della popolazione avrà più di settant’anni; e quindi dovrò stare attento all’invasione dei paesi mediorientali, tipo Iran e Turchia, dove il settantacinque per cento della popolazione ha meno di venticinque anni, e questo porterà ad un totale annullamento delle nostre tradizioni, alla ghettizzazione del cristianesimo, alla cancellazione dei diritti delle donne e alla dittatura islamica. Minchia.
Beh, torno a casa. Tram, treno, piedini, maison. Sono le diciotto, faccio in tempo a guardarmi Studio Aperto. “Ecco Pallino, ha pochi mesi, è zoppo ed è stato abbandonato lungo la statale dei Giovi ieri, rischiando di essere investito. Ora cerca un padrone che gli voglia bene…”. Magone, come sempre, perché da quando ho il cane mi sento responsabile anche dei cani che non sono miei. Ma come si fa ad essere così animali?, penso. TG5: “Alla ribalta il canile delle atrocità, spariti quasi centoventi cani e trovati altri in condizioni pietose, non mangiavano da una settimana”. Trasalgo bile. “Bisogna fare qualcosa, chi può deve adottare qualche cagnolino, volergli bene, danno tanto affetto”. Sì, ma io non posso fare più nulla, uno l’ho già salvato, un altro dove lo metto? Radio, per ascoltare il Deejay Time. Pubblicità: “chi abbandona un cane non è un uomo”, pronunciata dalla voce di Giorgio Ginex. Cazzo. Anche qui. Spengo.
Guardo le mail. Immagini di crudeltà dalla Cina. Boicottiamola! Sì dai, la boicotto, son stronzi kotokoto, come si fa a fare cose così?! Poi però un’altra mail mi fa pensare che “anche noi occidentali siamo così, sfruttiamo i poveri per guadagarci”. Oh, è vero. Boicottiamo anche gli yankee! Altra mail. http://www.nonlosapevo.com/: immagini di crudeltà su animali. Bisogna fare qualcosa, è colpa nostra.
Giretto su un forum della pesca. Post “Ecco cosa fanno gli ambientalisti”: si apre un video in cui alcuni volontari di Legambiente, in muta da sub e armati con fucile subacqueo, in un piccolo ramo del Po, sparacchiano a tutti i pesci siluro – ritenuto da alcuni esperti dannosi, ma finora senza alcun riscontro scientifico – li buttano sull’erba, due colpi in testa e li caricano su un camion della nettezza urbana. “E’ questo l’ambientalismo? Meritano di essere ascoltati?”. Sì, è vero, hai ragione, tra l’altro anche leggendo il libro di Lomborg sembra che i verdi ci raccontino un sacco di palle per mantenere i finanziamenti di ricerca (ovvio, perché senza un problema da risolvere, cosa fanno?).
Posta ordinaria. Mi arriva una lettera da Medici Senza Frontiere. “Aiutaci a portare la nostra missione nel mondo, dove c’è più bisogno”. Scopro di nuovo il gravissimo problema delle infezioni nei paesi in via di sviluppo e del Terzo Mondo. Eh sì, c’è da fare qualcosa! La seconda lettera è della Lega del Filodoro. Un Renzo Arbore in formissima mi avvisa che Diego ce l’ha fatta solo grazie al mio aiuto – quale?! – e che i bambini ciecosordomuti sono tanti e va fatto qualcosa per loro. Sì, è vero…la vita ogni tanto si accanisce anche su chi non se lo merita…
Driiin. Torna mia madre. Faccia triste. “Lo sai che entro l’anno chiudono il canile di Paderno? Non hanno più fondi…poveri cagnolini”. Tutte belle notizie, oggi! “Ah, e poi in Direzione ci han detto che se la stagnazione economica dovesse peggiorare dobbiamo prepararci alla cassa integrazione”. Come se fosse colpa mia. Nostra. Ma che ci posso fare?
Talk Show serale, che bello, mi rilasso un po’. Scopro che se continuerà così sarò un pensionato solo, con l’AIDS, depresso, e vivrò in un prefabbricato perché la mia casa abusiva non rispettava le norme anti-smottamento ed è stata abbattuta da un ciclone e poi da un tornado a cui si è aggiunto uno tsunami causati dal surriscaldamento del pianeta, e in questo pianeta caldo non posso rinfrescarmi nemmeno con la pioggia perché ormai è acida, a causa dello smog, per il quale ho quindici allergie, problemi alla pelle e agli occhi, e per questo mi hanno sequestrato la macchina che non era Euro 4 anche se avevo il tagliandino degli handicappati, che si è scoperto essere falso dopo le indagini per un caso di corruzione all’interno del Comune, nel quale io ho parenti; morirò presto a causa della cinese, dell’aviaria o dell’escherichia coli (perché le pile che avevo buttato in discarica si sono decomposte e gli acidi sono pentrati nel terreno, sporcando così l’acqua di falda filtrata dal terreno) o per un morso di un pit bull, e nessuno – mio figlio è uno sbandato, drogato, depresso, che fa le corse clandestine con le auto e gira il mondo dormendo in metropolitana - mi seppellirà perché di spazio nei cimiteri non ce n’è più. E soprattutto mi viene detto che DEVO FARE QUALCOSA. Prima uno, poi l’altro. E il bello è che tutti hanno - o vogliono avere? - ragione.
Da dove comincio???!!!

giovedì, gennaio 19, 2006

Voglia di parole (e non solo - non soli)

Ogni giorno mia mamma torna a casa dal lavoro verso le diciotto e quindici, minuto più minuto meno. Quando suona il citofono solitamente mi mancano quattrocinque pagine da sottolineare per completare il mio percorso di avvicinamento all’esame. Droooon. Che rumore della fava! Mi alzo, chi è?, ok, bottone. Per due. Logicamente poi vado alla porta, compiendo movimenti da C1P8 (meccanici), con la testa ancora nella mia cameretta, fra quelle pallose – ma utili! – righe. “Ciao batuffolo! Ciaoooooo!”. Si saluta prima il cane di me, ma ci sta tutto, perché comunque è l’essere vivente che è sempre più prossimo alla porta ogni volta che qualcuno poggia piede sul pianerottolo. “Ciao Pop, come va?”. Ma’, senti, mi mancano quattro pagine, vado a finire. “Sì sì, vai, vai”, connotando col tono della voce una sincera preoccupazione per quel benemaledetto voto che verrà stampato sul libretto. Sì, ma…non è che sia uno studies addicted. A me interessa il DOPO. Mi alzo alle otto, studio tutto il giorno ad esclusione di due pause-cane e una pranzo, e non vedo l’ora di aprire le mail, imbracciare la chitarra, sistemare le foto, scrivere qualcosa per questo bloggino; insomma, fare tutto quello che non si può fare mentre si è chini sui libri.
Inforco il lettore mp3 – un minimo di scusa in caso di interpellazione dovrei averla, no? – prendo la matita e leggo tre righe. So di non aver speranze, so che fra pochi secondi… Sento un brusio, e non è la cattiva qualità dell’mp3 scaricato ieri…”C’è un po’ di confusione in questa stanzetta…”. Eh? Scusami ma ho le cuffie (e ne tolgo solo una). “Dicevo…c’è confusione qui dentro, ma come fai a vivere nel disordine?”. E vabbè, ma’, vedo solo il libro durante il giorno! “Oggi mi sono comprata una camicetta, ti piace? Dai, è moderna!”. Sì, ma’, bella. “Ah, e sai che hanno riparato il cappottino di Starsky?”. Eh eh…adesso chissà come cucca! Riinforco le cuffie. Maybe when your hair gets darker, maybe when your eyes get wi—“Lo sai che ieri c’era un cucciolo di pastore tedesco abbandonato in area cani?”. Eh?! “Portiamo a casa un fratellino al Nibi (è il soprannome, uno dei tanti, che ho dato al mio cane)?”
E cominciamo a chiacchierare. A frasi sconnesse, di niente, in confidenza. Ogni sera allo stesso modo. E ogni sera con la stessa leggerezza e semplicità. E’ come se entrambi aspettassimo la stessa cosa da otto ore.
Stranissimo. Sì, stranissimo essere sballottato tra due pulsioni opposte: da un lato il desiderio di finire un impegno, di completare l’opera, dall’altro la voglia di aprire la mia bocca che rimane chiusa ad eccezione di due cazzate dette al cane e qualche finto scream cantato su canzoni che adoro. Quando ho sentito il citofono, ho pensato cavolo, proprio ora? Devo finire! Ma poi – e il tutto avviene con naturalezza, senza preavviso, senza controllo – mi ritrovo in una discussione fondamentalmente centrata sul vuoto, che non arricchisce né me, né mia madre. Eppure è un momento di cui, ora come ora, non posso fare a meno.
Se mia ma’ sapesse che quelle quattro pagine sono ancora lì da fare, molto probabilmente si metterebbe dello scotch sulla bocca pur di lasciarmi in pace, di farmi finire. Ma io non gliel’ho detto, io VOGLIO CHE SIA COSI’. Perché abbiamo entrambi bisogno di parlare l’uno all’altra, e in una famiglia di quattro persone questi pochi minuti sono l’unico spazio che abbiamo a disposizione. E non si parla mai di problemi – per quanto le lacrime in tempi non sospetti abbiano espletato il loro dovere di manifestazione di disagio, per entrambi – ma del perfetto nulla. Cioè di quello di cui si vorrebbe parlare dopo ore di ufficio, o sui libri.
Poi gliela leggo negli occhi, quella voglia di essere ascoltata. Ma è davvero così alienante ed individualista il mondo del lavoro? Sei davvero così solo davanti a quelle scartoffie e a quello schermo di PC? Evidentemente lo è mia ma’. O forse, mi vuol così tanto bene che non vede l’ora – ancora! – di vedermi, di chiedermi com’è andata la giornata, di farmi le menate perché la stanza è in disordine. La risposta sta nell’amalgama delle due motivazioni.
So che sta sicuramente nel rapporto speciale che lega me con chi mi ha messo al mondo. E mentre sto scrivendo queste righe, lei è in cucina che fa da mangiare, in silenzio, ma è come se mi chiamasse col pensiero, incuriosita chissà da che cosa. Le devo raccontare ancora un po’ di cose e so che lei è l’unica persona che mi ascolta, perché in qualunque momento HA DESIDERIO DI ASCOLTARMI. Come dovrebbe fare la donna della mia vita. Se c’è. Fiero di essere mammone.

martedì, gennaio 17, 2006

Vita o sogno

Oggi pomeriggio, mentre stavo studiando, ascoltavo distrattamente la radio, fino a che una frase pronunciata da un radioascoltatore all’interno di un programma-container pomeridiano non mi ha fatto alzare gli occhi da quelle benemaledette righe del libro. Si parlava della voglia di “cazzeggio” del giovane post generazione X…”Ragazzi, vivete oggi per sognare domani!”. Uno slogan tanto semplice, se non gli si presta la dovuta attenzione, quanto contorto, se gli si cerca un significato all’interno della propria esperienza di vita.
Ma io sogno o vivo? In questo momento intendo, cioè oggi che mi alzo la mattina alle 8 e passo la giornata su un libro, ma nulla mi vieta di prendere una pausa e ascoltare musica o vedere, o una giornata per andare a sciare o un weekend per andare a pescare. E’ vita o sogno?
Io parto dal presupposto che quello che sto vivendo per me sia un sogno; sì, l’esistenza all’interno della calda bambagia uterina delle quattro mura domestiche, questo è sogno. Credere che nella vita si possa fare qualcos’altro oltre a lavorare e crearsi una posizione, questo è sogno. Fermarsi a guardare fuori dalla finestra e rendersi conto che mentre sei in casa ti stai perdendo qualcosa che là fuori accade, esiste, si sta verificando in tua assenza, cioè mentre tu stai facendo-non facendo altro, questo è sogno. Sono sobbalzato sulla sedia per questo motivo: ho ventitré anni, studio, vivo coi miei, non ho evidenti problemi fisico-economico-relazionali, cioè sto vivendo (!) in un sogno, e tu mi dici, che dovrei vivere ora per sognare domani? Che significa sognare domani? Aspettare la pensione? Vedere i propri figli crescere? Girare il mondo finchè non finiscono i soldi? Mi chiedo come tu faccia a sognare, sì, sognare a trecentosessanta gradi quando evidenti limiti fisici e sociali te lo impediranno. O forse è proprio questo il significato del sogno? Cioè sogno è qualcosa di irraggiungibile, bello FINCHE’ NON LO VIVI PERCHE’ NON LO PUOI VIVERE? Più vai avanti, più i sogni si smaterializzano, faded away direbbe uno yankee sconsolato.
E che senso ha allora sognare, se i limiti impostici dalla vita non ci consentiranno MAI di realizzare quel qualcosa che creiamo nella mente, tanto simile ad un bel film, quanto distante dalla realtà ancora più di un film?
Non credo di aver ragione. Anzi, credo che la maggior parte dei miei coetanei (e anche un pelino più grandi) la pensi in modo diverso. Immagino che lo slogan sentito per radio venga da molti inteso come un “fatica ora per godere domani”. Ed in parte è giusto, perché se è vero che gli ultimi saranno i primi, e che chi si impegna ottiene sempre qualcosa, allora significa che se mi impegnerò SUBITO, già da oggi, la salita l’affronterò quando sono più giovane, e subirò infinitamente meno l’acido lattico della scalata alla mia carriera più avanti. Ma se non fosse così? Se l’escalation di stress invece di andare al passivo, crescesse in attivo? Se pagassi un domani lo sforzo che faccio oggi?
No, decisamente non fa per me. ORA. Meglio per continuare ad essere il ragazzino che sogna ancora di poter vivere senza lavorare, che sogna di trovare una ragazza che lo ami e che sia il più perfetta possibile, che sogna di non perdere mai nessuna delle persone più care, che sogna di stare coi suoi amici a cazzeggiare davanti ad una Playstation, ad una Gazzetta o ad un film del terrore (rigorosamente col cuscino davanti agli occhi), che sogna di diventare bravo con lo snowboard per gustarsi le emozioni di una discesa, di un salto, ed essere ammirato dalle ragazzine, che sogna ancora di poter imparare ad usare uno strumento musicale, per scatenarsi su un palco senza più il freno dell’intrinseca timidezza, che sogna di essere apprezzato dalla gente per quello che è e che fa, indipendentemente dalla posizione che ricopre.
Vedo la tua faccia perplessa. E anche la tua nera di livore. Lo so, parlo così perché me lo posso permettere. Ma in questo momento sono ancora allergico al mondo dei grandi. Concedimelo.
Sognare oggi e sognare domani? Non si può?

sabato, gennaio 14, 2006

Bertrando da sno'

Nella mia carriera sportiva mi sono sempre trovato a dover fronteggiare un avversario. Che fosse con una racchetta o con una palla tra le mani o tra i piedi, sempre e comunque avevo davanti un altro essere umano che aveva più o meno voglia di superarmi. E il più delle volte condividevo questa situazione con altre persone che lottavano per un intento comune. Mi è sempre mancata, quindi, la battaglia con me stesso, coi miei limiti, con le mie capacità. Ma finalmente ho infranto questo tabù, in un momento della mia vita in cui sono fertile di nuove esperienze come i terreni costieri dopo un’esondazione del Nilo. Mi ha preso la mania dello snowboard e mi sto chiedendo ancora come mai abbia aspettato così tanto a scoprire questo sport.
Un mese fa ho messo per la prima volta questo pezzo di legno e fibra sotto i piedi. Pensavo di farcela da solo, che sarebbe stato facile. Ma dopo mezza giornata ero deluso, non fa per me, pensavo. Ho piegato la mia superbia, e ho preso lezione con un maestro: subito l’entusiasmo è risalito a mille. E’ proprio una situazione da “Bivio”: non avessi preso il maestro, molto probabilmente la tavola sarebbe là appesa alla parete del garage, perché tanto non ce l’avrei mai fatta. Invece ieri sono tornato, ho preso lezione con un altro maestro, e ce l’ho fatta. L’ho conquistata, la tavola è diventata parte di me.
Avevo tante paure, non lo nego. Temevo di aver dimenticato tutto, di non riuscirci di nuovo, di dover passare giornate intere per riuscire a dominare la tavola senza cadere. E queste paure si sono materializzate una volta che ho rimesso la tavola sotto i piedi, perché scappava, scivolava voleva portarmi dove voleva lei – magari ad un Outlet – e non riuscivo a domarla. Ho cercato il luogo sicuro, cioè il maestro, e le mie paure piano piano sono svanite. Anzi, non proprio piano piano. Improvvisamente, dopo due discese con il suo aiuto, è scattato qualcosa simile ad un meccanismo magico, che mi ha fatto sentire la tavola più “mia”. E’ come scoprire che quel movimento l’hai dentro, ma devi solo capire il meccanismo che ti permette controllarlo. Sentivo i piedi fusi alla tavola, un tutt’uno armonico che mi consentiva di andare dove volevo. Entusiasmo alle stelle. Ce l’ho fatta, mi dico dentro.
Poi, di nuovo in cima a quella salita, “baby” per molti, ma un muro per me che sto ancora muovendo i primi passi. E di nuovo le stesse paure: e se fosse stato un caso? Ce la farò di nuovo? Ora che non c’è più il maestro, riuscirò ad avere la stessa sicurezza? Mi butto, scendo, mi sbilancio, ma non cado. Poi il ritmo cadenzato delle curve mi entra dentro come un beat serrato: scendo di nuovo. E di nuovo. E di nuovo ancora. Ti ho conquistata, mia cara. Mi hai fatto dannare, ho dovuto prendere botte, spaventi, ho dovuto piangere, deprimermi, considerarmi un fallimento, ma ora non più. Ora mi sorridi, vuoi esser parte di me, condividere le stesse discese, la neve, il ghiaccio, le cadute. Abbiamo creato un legame unico, nessuno può essere come noi, insieme.
Ho combattuto con me stesso cercando di trovare l’equilibrio, di controllare e regolare ogni minimo movimento del mio corpo per stare sulla tavola. Mi è capitato raramente di sentire il mio cervello come una CPU che controllasse ogni muscolo ed ogni movimento, cercando di non sbagliare, di migliorare sempre. Forse è proprio questo che mi affascina: il trovarmi ad imparare da zero qualcosa, sbatterci il muso, per poi sentirmi migliorare giorno dopo giorno. Anzi, ora dopo ora. Qui non hai davanti un avversario, ma una situazione. Sei te, con te stesso e le tue capacità, nessun’altro può darti una mano. E scopri che è più gratificante sentirsi migliorare dentro, provare l’emozione del pieno controllo, piuttosto che un complimento del maestro o dell’amico. Niente ti dà più autostima della scoperta dell’implementazione delle proprie capacità. Mi son sentito arricchito, ospite che bussa alla porta di un nuovo mondo da scoprire. E sicuro di sé.
Questo testo è un messaggio sociale. E’ un’esperienza portata a paradigma per chi sente che gli manca qualcosa e che non si sente padrone di se stesso. Non ti sto dicendo “fai snowboard”. No, ti sto dicendo di credere in quello che ti piace, in ciò che ti affascina, e di sbatterci la faccia finchè non ti renderai conto dei tuoi limiti. Solo allora potrai dire “non ci riesco”. Non perdere l’entusiasmo, e ascolta chi ne sa più di te.
Ti renderai conto che volare è più facile che costruirsi le ali. E che ci sono sensazioni per cui vale la pena vivere.

martedì, gennaio 10, 2006

I cartoni animati non esistono

Capita che nel freddo e piovoso pomeriggio del giorno dopo capodanno ci si trovi intorno ad un tavolo, sparpagliati su comodi divani, a giocare al famoso “nomi, cose, persone”, e chi più ne ha più né metta. Capita che si scelgano determinate categorie e che esse vengano riempite con le più svariate idee. Film, personaggi, canzoni. Personaggi dei cartoni animati. Alt! O hai detto personaggi dei film d’animazione? O sono io che ormai filtro tutto alla luce dell’esame che dovrò dare tra pochi giorni, oppure ho sbagliato in pieno a scrivere? Tant’è che dopo quattro o cinque tornate inserisco nella categoria un personaggio di film d’animazione, ma che NON E’ DEI CARTONI ANIMATI. Stop! Raus! Fermo! Colto in fallo! Mani dietro la testa! Fellone!
I cartoni animati non esistono”, dico solennemente dall’alto della spocchia – come dice, giustamente spesse volte, un caro amico – che contraddistingue chi studia comunicazione. Risate, pernacchioni, il meglio del caos del Bagaglino. Ma siccome la figura del Fantozzi davanti ai suoi colleghi non la voglio fare, ecco l’introduzione del libro “Lezioni sul cinema d’animazione”, scritto dal più importante – e unico – storico del cinema d’animazione italiano, Giannalberto Bendazzi. E poi dicono che dico cazzate. A toi.

I cartoni animati non esistono. Questi “cartoni” cinematografici vengono dall’inglese cartoons, termine che va tradotto con “disegni caricaturali”, mentre il cartone nel senso di carta spessa si chiama cartboard. I cartoons, a loro volta, sono un’anglicizzazione cinquecentesca dell’italiano di gergo pittorico “cartoni”, cioè i disegni preparatori, delle stesse dimensioni dell’opera da eseguire (affresco, arazzo, mosaico) o anche di dimensioni inferiori, tracciati con carboncino o gessetto su carta spessa.
Nei secoli posteriori il temine indicò anche quei disegni, non meno sommari o abbozzati, che avevano lo scopo di caricaturale sui giornali la realtà politica e sociale. All’inizio del ‘900 lo stile dei cartoons caricaturali passò dalle pagine stampate agli schermi cinematografici, e quei film primordiali vennero chiamati negli Stati Uniti animated cartoons. Gli italiani tradussero foneticamente e da lì nacquero i “cartoni”, che in realtà erano disegni animati (cfr. francese
dessins animès, spagnolo dibujos animados).
Sul piano sistematico i disegni animati sono poi soltanto un settore del cinema d’animazione, che comprende altresì le figure ritagliate, i pupazzi, la plastilina, il disegno su pellicola, le varie forme di computer animation e così via.
Questa scorrettezza del termine “cartoni animati” non sarebbe più grave di quella del popolare “fuoco di Sant’Antonio” (per la malattia che a scienza medica chiama herpes zoster) se non comportasse una sottintesa idea di cosa futile, trascurabile, destinata a baloccare i bambini.
Questa sottovalutazione implicita, come si cercherà di dimostrare nelle pagine seguenti, non ha giustificazione alla luce dei fatti.

Disposto a qualsiasi indicazione bibliografica ti possa essere utile.

Ho il re Kong sulle spalle.

lunedì, gennaio 09, 2006

Basta un niente, e ti senti divino (per poco)

Che bella sensazione! Sentire quel bisillabo numerico dopo aver passato otto ore in un aula di università in attesa che sia il tuo turno. E la tensione sale sale sale. E in testa confusione, un purè di dati, idee e pensieri che non ti fa ragionare. Questo sì che è brutto. Ma poi sei sotto, mezz’ora che dura un attimo, sudi, tremi – perché nelle università italiane il riscaldamento è optional – non hai tempo per pensare a quale sarà il verdetto. Una domanda. Due. Tre. Ma quanto dura…
“Per me può andare”. E ti alzi, le gambe ti tremeranno ancora un poco per la tensione, dopo aver messo la firma che certifica il tuo impegno. E’ questo l’ATTIMO DIVINO. Quel breve istante di potenza che vivi dal momento in cui hai ricevuto un valore numerico del tuo impegno, al momento in cui quell’impegno viene messo nero su bianco, certificato solennemente. Ce l’ho fatta, come son stato bravo, passata questa posso passare tutto. Passasse di lì la ragazza più bella ed impossibile del mondo, ti travestiresti da Rudi Valentino e la prenderesti tra le tue braccia, sicuro del suo desiderio. Ma questo non succede, purtroppo.
Succede però che condividi quell’attesa con uno dei tuoi migliori amici. Che non ti sopporta più perché con la gamba hai consumato il pavimento, perché ridi come un deficiente per un “pompoko” – non sai cos’è? Cerca su internet “Takahata” -, o perché continui a fargli domande su cose che a grandi linee sai, ma come un bambino vuoi averne la conferma. Da qualcuno di cui hai estrema fiducia. E il tempo, così, vola.
Quell’attimo divino dura troppo poco. Domani è un altro giorno. Bello, per l’amor di Dio. Ma è la finestra su quello che ci sarà domani, ossia tanto altro impegno, per un tanto alto altro risultato. E giù, chino di nuovo, sapendo che per pochi decimi, però, prenderò in mano l’oppressione che ho intorno e la schiaccerò per terra con un suplex. E godrò ancora. Cazzo, se godrò. Nettare e ambrosia. E lo faccio solo per me.

venerdì, gennaio 06, 2006

E' arrivato!

Ebbene sì, stamattina mi sono alzato e ho trovato un pacco regalo. E cosa conteneva? Un PIGIAMA! (Senza pantofole) Non ci ha pensato il Babbo, ci ha pensato la Befana…che fa rima con?

giovedì, gennaio 05, 2006

Ancora vivo

So che ti manco. E che ti stai chiedendo dove cavolo sia finito. E perché non abbia salutato l’anno nuovo. Beh, sono ancora qua col mio fardello di belli e brutti giorni, e soprattutto con un esame abbastanza ponderoso da dare lunedì. Per questo non mi sono fatto più vivo. Non preoccuparti, sto bene.
Anzi, ti posso anticipare qualcosa di quello che potrai leggere nei prossimi giorni. Innanzitutto, una riflessione sullo sentirsi straniero in patria, poi un paio di testi di canzone abbastanza emodepressivi (non so ancora se metterli tradotti od originali) e, infine, un testo sui cartoni animati.
Questo ti basti, per ora. Stammi ancora vicino, sai bene che di te ho bisogno.

Ah. Buon ANNO.