L'angolo di Bertrando

Siamo solo bugie che attendono di essere svelate.

lunedì, aprile 24, 2006

La bottega degli artisti

Dai, non ci credo! Ti sono mancato? Io credo proprio di no. Vabè, cmq vada, ti introduco al mio prossimo delirio. Lo vedi il titolo? Tu lo capirai, mentre tu non lo puoi capire. Sì, “La bottega degli artisti” è praticamente il primo locale – tolti quelli estivi quando andavo in campeggio – nel quale mettevamo piede, io e il mio gruppo di amici, io e te, quando non eravamo nemmeno maggiorenni. Quello al di fuori del quale c’era il distributore Tamoil dove i nostri genitori, a turno, aspettavano parcheggiati, assonnati e con le bolas rotanti a ‘mo di ventilatore, la nostra uscita dal locale. Noi che non eravamo mai puntuali. No pianficazione. Come gli artisti! A distanza di otto anni, o forse più, il nome di questo locale mi torna comodo. Sarà anche solo per il titolo di un post in un blog di poco valore, però ritengo sia illuminante. O meglio, l’ennesima conferma della vita che ti dà gli indizi, ti anticipa il tuo destino ma, chiaramente, tu non te ne accorgi. Cosa c’entra tutto questo con gli artisti?
Beh, praticamente sono arrivato a scoprire – wow, che fantastica percezione! – che gli artisti che si riuniscono in bottega siamo noi! Noi inteso come “il mio gruppo di amici”, claire…
Osservaci. Ogni persona che compone il nostro gruppo esprime se stesso attraverso una forma d’arte. O, anzi, cerca se stesso attraverso una forma d’arte. Due sono appassionati di quella che Wagner definiva l’arte delle arti: la musica. Si esprimono in musica, ascoltano, imitano, compongono. LA musica come ragione di vita? Non esageriamo. La musica come parte della propria vita, elemento di equilibrio interiore. Poi c’è il fotoamatore – professionista? – colui che fissa il tempo sullo spazio. Nell’arte che è sintesi di pittura e cinema. E attraverso di essa riesce a comunicarci molte cose, più che con le parole. Per un periodo è stato anche regista. E noi attori… C’è l’addicted all’ultima delle arti riconosciute: la cucina. Contrariamente a me, che mangio per vivere, è portatore della filosofia del “vivere per mangiare”. Ehi, tranquillo, non ti sto prendendo in giro. E’ un modo per dire che quello che abbiamo nel piatto non è un semplice pieno di benzina, ma è molto di più: è pittura che titilla il gusto. E c’è chi si impegna nel teatro, chi ha suonato la chitarra per anni, chi le opere d’arte naturali ci porta a scoprirle. E poi ci sono io.
Anticipo il tuo pensiero – cinico – che dice: “stai dicendo che i tuoi amici sono artisti per giustificare la tua ampiamente egotica affermazione in quanto artista”. No, non è così. Perché questo messaggio è nato, stranamente, osservando le persone che più mi stanno vicino. E non me stesso. Quanto a me, vorrei poter dire come uno Sperelli qualsiasi che la mia vita è di per sé un’opera d’arte. E dopo tutto lo è. Un perfetto equilibrio tra luci ed ombre, tra acuti e discese negli inferi vocali, tra dolcezza e asprezza. Un bel quadro naturalista. O neoclassico, se vogliamo dirlo. Ma uscendo dalla retorica, posso tranquillamente affermare che la mia forma d’arte, quella con cui riesco di più ad esprimere – o dissimulare? – me stesso, è quella composta dall’insieme di parole messe una di fianco all’altra, che ti consentono di pensare a me in qualsiasi modo tu voglia.
Non è arte? E chi se ne frega. Mi piace pensare che lo sia.
E lo è, perché se sei arrivato fin qui, vuol dire che...
Bene o male che sia, il mio intento l’ho raggiunto.
Soprattutto perché non lo faccio per vivere.
O forse sì?
Lo farò.
Credo.
Dannato liceo classico.


AAA cerchiamo un regista cinematografico e uno scultore. Chi si dimostrerà simpatico e idoneo verrà inserito in pompa magna – penseremo a qualcos’altro per le donne – nella “Bottega degli artisti”.

venerdì, aprile 07, 2006

Pensieri (non miei) e parole (non mie)...ma come se lo fossero

Oggi non ho molta fantasia, farò parlare gli altri. Ma che altri! Gente con le palle. Grosse come pietre di Stonehenge. Gente che sapeva cosa dire perché sapeva dove e quando viveva. Che ha saputo interrogare se stesso ed esporlo agli altri. Gente di una lucidità disarmante, di talento serafino.

Tendiamo sempre verso ciò che è proibito, e desideriamo quello che ci è negato. (Ovidio)

Il contrario di quel che dico mi seduce come un mondo favoloso. (Leo Longanesi)

La mia fantasia è inceppata: ho bisogno di un piccolo dispiacere. (Leo Longanesi)

I suicidi sono solo degli impazienti. (Gesualdo Bufalino)

Quando si guardano troppo le stelle, anche le stelle finiscono per essere insignificanti. (Jules Renard)

L'ambizione è l'ultimo rifugio del fallito. (Oscar Wilde)


Consentitemi un inframmezzo simpatico:

Nietszche: “Dio è morto”.
Dio: “A ben guardare, fino ad ora è morto soltanto Nietzsche


Poi, per chi c’ha il peer to peer, e ha voglia di sentire un po’ di canzoni che in questo periodo mi stanno solleticando le corde (e che, comunque, rimangono canzoni che mi piaceranno sempre), ecco una lista. Sono emotive.

Coheed and Cambria – Wake Up
Plain White T’s – Hey There Delilah
Houston Calls – Amtrak is for lovers
Forty Winks – The receiver
9 mm – You helped me
Funeral For a Friend – History
Atreyu – The Theft
Novice – This is me
Houston Calls – High Rise
Plain White T’s – The Only One
The Juliana Theory – Jewel to sparkle
Mae – Embers and Envelopes
Nikola Sarcevic – New Fool
Anberlin – Dance Dance, Christa Paffgen
LoveHate Hero – This Dream Called Life
The Doves – Pounded
Sondre Lerche – Sleep On Needles

Se qualcuno di voi decidesse di ascoltarle (non dico tutte, anche perchè una non la trovate di sicuro), sappia che parlano anche per me. Magari non ti diranno nulla, magari qualcosa lo senti. Vedi tu!

mercoledì, aprile 05, 2006

Le nuove frontiere del marketing

Ieri ero in Cadorna con l’amico Fab e, discutendo sulla nostra prima pièce teatrale (“La battaglia di Zama”, presto sui palchi dei migliori oratori della Brianza), mi cade l’occhio alla mia sinistra. Lo raccolgo (ahahha) e con esso l’oggetto che vedete in foto scannerizzata (fronte e retro). Guardate, osservate, fissate, chiudete gli occhi. Vi do qualche secondo. Poi seguitemi. E scusatemi se sarò volgare [V.M. 18 anni e donne].


La prima cosa che cerco, è di capire di cosa si tratti. E' il “volantino” pubblicitario del gioco del Nintendo DS “Resident Evil – Deadly Silence”. “Pazzesco”, penso. A parte l’artwork veramente figo, l’idea stupenda della mano, e lo sfruttamento dell’ultima frontiera dei nuovi volantini – quelli che si attaccano alle manopole di bici e motorini – penso che dia perfettamente l’idea del gioco che sponsorizza. Ti vien voglia di vedere com’è…rende l’atmosfera…
Basta cazzate. La finisco. Scusatemi.
La prima cosa che ho pensato – e che penserebbe qualsiasi essere umano di genere maschile che si sia prodigato in un cinque contro uno, idem le signorine che lo fanno ma che non lo possono dire – è stata “ma come caz*o si fa a fare una pubblicità che rappresenti una mano in quella posizione?!”. Già, perché prima di rendermi conto che fosse una pubblicità, ho dovuto girare la mano dall’altra parte. Poi, una volta capito che era una pubblicità, e riso come un porcello con Fabio per l’imbarazzo delle supercolte persone che avevamo di fianco – moralisti della fava! – mi sono chieso: "ma cosa ha portato i pubblicitari a pensare una roba del genere?!”.
Son partito da una domanda: cosa mi suggerisce, in relazione al gioco, questa pubblicità?
Pensiero uno. Questo gioco è orgasmante come un match col proprio membro.
Pensiero due. Compra questo gioco a tuo figlio, smetterà si smanettarsi i genitali.
Pensiero tre. Nel gioco sono presenti materiali che invogliano l’autoscoperta del piacere primitivo.
Pensiero quattro. Ricordati di Resident Evil, quando con questa protesi cartacea stuzzicherai il tuo Capitano.
E poi, leggi bene il pay-off (“…prende vita tra le tue mani”): se non sono indizi questi…
Ci ripenso un attimo, e mi dico: “ma non è un autogoal?”. Cioè. Siamo sicuri che accostare due passatempi così diversi, ma così simili – sempre di “smanettare” si parla – sia una buona idea? E, soprattutto, presentare su un motorino, una bici, ovunque, una figura così che rimanda all’intimità dell’essere maschio, non è azzardato? Soprattutto perché, parliamoci chiaro, la prima cosa che ho pensato non è stato “che bel videogioco”, ma “che è, un invito alla masturbazione?”.
Sarò moralista pure io, ma dico: grande idea, schifosa.
Ok che siamo nel mondo del Tette e Culi, e che pure ci lavoro, ma arrivare a questo no. Se continuiamo così, il prossimo passo è trovarsi, sulla manopola della bici, la riproduzione di un bocca femminile che dice “…assaporalo, gustalo, sentilo in bocca”. Ma non ti pulsa l’erezione sotto la patta: no, perché scopri che si tratta dell’ultima pubblicità del Tònno Nostromo.
Vi lascio una domanda: e la pubblicità che fa stupido l’uomo, o è l’uomo stupido che fa la pubblicità?


Due pensieri estemporanei, che meritano spazio.
Uno. Buon Compleanno all’amico Biondo, l’unico essere vivente che compie sessant’anni ma ne dimostra ventiquattro. AUGURI!
Due. La meteorina del tg4 mi fa un sesso pazzesco. E’ vuota, è stronza, se la mena. Ma mi piacciono così. Non ne posso fare a meno!

martedì, aprile 04, 2006

Un anno dopo

Esattamente un anno fa mi laureavo. Son passati secoli? Parrebbe di sì. Per alcuni. Per me. Per altri no. C’è chi dice che la laurea ti cambia la vita: sì, la laurea, ma non solo. Dopotutto credo che non sia cambiato molto nella mia vita, se non altro nei momenti successivi al conseguimento. E’ cambiato tanto, ma molto dopo. Da domani, un anno fa, avrei cominciato il mio periodo sabbatico di riposovacanzascazzochiamalocomevuoite. Da domani, oggi, al lavoro mi dovrò fare le spalle larghe perché inizia un periodo di fermento. Alto, basso, mai il medio. Il solito, nella vita di Paolo. Però chiariamo una cosa: il mio periodo sabbatico, se potessi, non lo rifarei. Quando arrivi in fondo al percorso di studi – che è un finale relativo, perché sai che dopo ricomincia qualcosa di simile o di più faticoso – ti senti come un maratoneta che vede il nastro della fine; anzi, forse non lo vede nemmeno perché non è tra i primi, ma è comunque soddisfatto, come è soddisfatto il suo entourage, e pensa ad una doccia, al letto, al riposo, all’affetto dei cari, non sogna altro. Tagliato il traguardo si squaglia, ogni muscolo perde tonicità per budinizzarsi in un unico informe corpo. Il maratoneta riposa, unoduetre giorni, una settimana. Ma poi la strada lo richiama a sé e chiede il suo sacrificio di sudore. Dopo la laure ti senti esattamente così. Peccato che io mi sia sentito così, ma ero un maratoneta infortunato. Un atleta che VUOLE correre, ma non può perché NON CI RIESCE. Atarassico, sfibrato, entusiasmabile solo da piccoli spilli di interesse, mi sono accontentato, mi sono detto “cazzo è giusto che mi riposi un attimo dopo tutta questa fatica”. E intorno non esisteva altro. Non gli altri che han conseguito in più brevi termini una laurea più difficile della mia, non gli studenti che non si possono permettere sei mesi di pacchia perché devono mantenersi, niente, esistevo solo io. Paralizzato da me stesso. Da un blocco fisico che si è rivelato ben presto mentale.
Forse avevo bisogno di un terremoto, che non è stata la laurea a darmi. Sì, perché dopo la laurea, alla fine, non è cambiato nulla: son dottore solo per me, nessuno mi chiama così, mentre intorno trovo gente che si fa chiamare dottore anche quando non lo è, non ho trovato lavoro ma sono stato rimbalzato da semplici ruoli di commesso per discutibili leggi salariali, non ho trovato la schiava gemella abbagliata dal prestigio di quel pezzo di carta. Pezzo di carta che non ho ancora, che non mi è ancora arrivato.
Oggi è tutto diverso. Oggi mi sento dire da tante persone che sono cambiato, in meglio, dicono (spero che lo facciano con sincerità). Ma tanto, anche se fosse in peggio mi interesserebbe relativamente, perché ORA sto bene così. Altri mi dicono che ho ipertrofizzato alcuni lati del mio carattere che prima tenevo sopiti. Son le stesse persone che mi dicono di aver visto il mio entusiasmo infantile trasformarsi in aggressività manifesta, e in disillusione cronica. Eppure tanti altri dicono che non è successo nulla, che son sempre lo stesso. Non credo a chi dice che non si cambi nella vita: SI CAMBIA, eccome. Purtroppo il cambiamento non lo decidi tu: ti capita. Può dipendere da una persona, da più persone, da situazioni contingenti da cui non puoi sottrarti. L’unica cosa che puoi fare è rendertene conto e frenare, se ci riesci. E se sei fortunato e hai l’ABS, sbandi, al massimo cozzi, ma non perdi nulla. Se sei sfortunato, invece, perdi tutto. Piano piano, quasi senza accorgertene, come una foresta che in modo infinitesimamente lento si prosciuga e diventa piccola oasi. Col deserto intorno.
Sotto sotto temo questo. Temo il cambiamento. Ma mi incuriosisce, sì. Mi sento diverso in molte situazioni, questo lo percepisco. Riesco a far cose che prima non riuscivo a fare. E altre non le faccio più.
L’anno scorso ero un ragazzo di ventitrè anni appena laureato in un corso di laurea di non elevata caratura che cazzeggiava per 24 ore la giornata spassandosela col proprio fratello peloso lungo tutte le stagioni che l’anno proponeva. Oggi mi ritrovo ad uscire di casa alle sette mezza, a tornare alle quattro, per studiare, per poi andare agli allenamenti, a suonare, a pescare, a scrivere questo salvifico blog. Vuoto à pieno. Niente mezze misure.
Si cambia. Sì, si cambia. Non è poi tanto male, dottore.


Domani, un anno fa, ho vissuto il momento più intenso e più bello della mia vita. Il più inaspettato regalo che l’umana natura mi potesse fare. Me ne accorgo solo ora. Grazie. Quello non cambia. Non cambierà mai.

domenica, aprile 02, 2006

Vita vuole vita

Ci sono giorni come questi in cui penso che la sofferenza sia placabile solo con la sofferenza. Altrui. Giorni in cui penso che il vuoto lasciato dalla scomparsa di una vita sia colmabile solo con il sacrificio di un’altra vita. Altrui. Ci sono giorni in cui mi vergogno di appartenere ad un genere umano che per idiote ambizioni di denaro sacrifica la vita. Altrui. Giorni in cui, pur di lavare la macchia di questa vergogna, sacrificherei anch’io la vita. Altrui. Giorni in cui ti dicono quella che è la loro verità, ma solo perché è la più comoda; o forse perché la più sconvolgente, toccante, mediatica. Salvo rendersi conto che non è la verità: la verità è più agghiacciante, sarebbe bene non raccontarla. E prendersi le responsabilità per dire: “abbiamo sbagliato”.
Ci sono giorni in cui mi chiedo come sia possibile prendersi a cuore la vita di una persona che nemmeno si conosce. Per una famiglia che, forse, avrebbe meritato un po’ di silenzio.
Io e te non possiamo fare nulla, agiremmo sul flusso dell’incubo emotivo. Il male chiama male, la morte vuole morte, la pazzia chiama lucido desiderio di vendetta.Però io e te sappiamo una cosa: se la Legge non inchioderà la giusta punizione, ci penserà una legge incisa nel sangue di chi questa terra la vive, non scritta ma a tutti noi ben presente. Una legge per la quale non ci sono avvocati. Silenziosa, ti striscia sulle caviglie per poi salire piano. Piano. Piano. Quando arriva alla gola, non c’è più tempo per urlare. E se anche lo facessi, nessuno ti ascolterebbe. Nessuno ti vorrebbe ascoltare. Perché fai schifo. Sei uno zero. Una vergogna per l’umanità.