L'angolo di Bertrando

Siamo solo bugie che attendono di essere svelate.

sabato, agosto 19, 2006

Il pretesto (sottotitolo: Sto diventando anarchico)

Capita che mi ritrovi in cucina a sgranocchiare due patatine come aperitivo…così, con la leggerezza che contraddistingue le vacanze, assorto in nessun pensiero ad esclusione di quello gustativo…ma vengo tirato giù dall’albero del piacere moltotroppo presto…da cosa? Da una notizia, a mio modo di vedere sconvolgente. L’impagliato conduttore del TG3 Lombardia mi sta praticamente dicendo che da domani, nel ridente comune Gardalacustre di Sirmione, sarà vietato consumare cibo – e vengono elencati panini, tranci di pizza, snack, esclusi gelati e granite – camminando per strada, seduti nelle panchine di un parco, oppure più semplicemente sulle rive del lago. Inizialmente fingo di non farci caso. Ma poi il mio passato riaffiora e mi chiedo: “ma è possibile che si sia arrivati a questo punto?”.
Mi sovvengono i ricordi della mia infanzia, quando con la famiglia trascorrevo gran parte dell’estate in campeggio, e non era raro fare gite nelle altre località lacustri, tra cui Sirmione, che ricordo bene perché sede di un museo della tortura veramente interessante…
Basta! Possibile che da quando ho ricominciato a scrivere questo spazio non riesco a tralasciare noiosi momenti amarcord? Devo fare qualcosa…
Ecco, dicevo che questa notizia mi ha lasciato allibito. Soprattutto in ragione del fatto “che molti altri comuni stanno pensando di adottare lo stesso provvedimento”.
E qual è il motivo ufficiale? “Il consumo di determinati prodotti culinari per le strade o nelle rive del lago ha provocato un incremento dei rifiuti e un conseguente degrado del decoro ambientale, che non è ulteriormente sostenibile, viste le grandi spese cui devono far fronte le amministrazioni comunali”.
Bella pallazza! Ci stanno dando la colpa di una situazione di degrado. Sì, perché se mangiamo la pizzetta non buttiamo la carta, la stagnola del panino la usiamo come galleggiante o, una volta usata come pallina di fortuna per le nostre giornate al lago, la lasciamo tra i sassi a luccicare al sole estivo. E poi, figurati com’è sconveniente per una città – voglio ricordare che da quando Clooney e Pitt hanno deciso di trasferire parte della loro vita sui laghi italiani, i comuni lacustri hanno alzato la cresta e han cominciato a menarsela mica male… - un gruppo di turisti che addenta avidamente un panino per strada, magari perdendo per strada pezzetti di insalata o di salsa, nel morso…Che schifo! Vedo già che ti vomiti…
MA MI FACCIANO IL PIACERE! Destra, sinistra, centro, han tutti rotto le scatole. Non si salva nessuno. Pretesti per coprire decisioni evidentemente inclini a qualche lobby di potere. O a qualche remunerativa soluzione elettorale. Mi daranno del facilone se penso che questo divieto sia un pretesto per coprire gli introiti – un pelino calanti, perché abbassare i prezzi non esiste…il prosciutto è diventato come la benzina…ogni tanto mi vien da pensare che il signor Rovagnati va in giro con la kefiah, ha otto mogli e fa correre cammelli cavalcati da fantini bambini nel suo giardino – dei ristoratori, grumo di potere senz’altro noto a tutte le amministrazioni comunali di città turistiche? Non mi interessa, perché E’ COSI’!
Adesso che siamo in estate ci fracassano gli zebedei con questi divieti. St’inverno con le giornate a piedi. In nome di un solo, conveniente, facile, vicino comun denominatore: l’Ambiente. Basta ipocrisia! Sembra di essere in uno di quei film di azione-spionaggio in cui l’eroe deve salvare la città minacciata dal potere che si associa con imprenditori senza scrupoli…
Come mai tanto fervore contro questo provvedimento? Perché è un periodo che non ne posso più di divieti o coercizioni oltremodo assurde. Sirmione non è il solo caso.
Prendiamo Treviso, dove un divieto di ingresso dei cani nel centro storico (qui sì, colpa di padroni irresponsabili) si è trasformato in cinofobia. O il nuovo regolamento delle spiagge di Forte dei Marmi dove, eliminato il pericolo vu cumprà – le signore che spendono 500 euro per una settimana di mare e poi comprano la borsa di Vuitton finta si stan straziando i seni – ora si cerca il mostro in: racchettoni, buche sulla battigia, entro i 10 metri dal mare, palloni da calcio, cellulari e, ormai da qualche tempo, radio che non abbiano le cuffie. Kaput, tutto questo non lo vogliamo! E poi non dimentichiamo il divieto di non so che località di andare in giro in costume, quasi che una piazza o una strada trafficata siano diventate sacre come una chiesa.
E tutto questo unito ai discorsi sui vari ticket da pagare per chi non è residente nelle varie città italiane.
Mi chiedo dove andremo a finire. Se davvero si arriverà all’asetticità pura di film come Gattaca o – non ridere – Demolition Man. Se dovremo aver paura a comportarci da umani, a vivere la nostra vita nella libertà. Perché di libertà si tratta. Libertà di decidere cosa e come fare, di dove e quando andare. Libertà di muoversi senza essere uno “straniero” da etichettare con un ticket, libertà di mangiare ciò che più ci aggrada, e soprattutto secondo le nostre possibilità economiche o i nostri piani di visita di determinate località.
Se c’è una cosa che ho capito, in parte sulla mia pelle, in parte sulla pelle degli altri, è che le cose facili non esistono. Ma costituiscono SEMPRE la soluzione a cui ogni essere umano cerca di appigliarsi. Ogni volta. Ed anche in questo caso: il classico specchietto per le allodole.
E, intanto, mentre i vigili appiopperanno “tra i 25 e i 250 euro di multa a chi non rispetterà il regolamento”, grossi tubi di scarico stanno inquinando i fiumi che costituiscono la vita del lago, enormi imbarcazioni, sempre più veloci e performanti, sfrecciano sull’acqua, insozzando l’acqua nella quale gli stessi proprietari pretendono di fare il bagno, dai tubi di scarico dei ristoranti esce qualsiasi tipo di rifiuto organico, e le alghe crescono, crescono, soffocano chi nell’acqua ci vive e chi ne vuole ricevere solo un abbraccio.
E’ tutto vero.
That’s (not) all folk!

domenica, agosto 13, 2006

AIFAS (Associazione Italiana Fidanzati Accompagnatori nello Shopping)

Sono le 16.30 di un ormai soleggiato pomeriggio di agosto. Il luogo è un noto centro commerciale, più precisamente all’interno del negozio d’abbigliamento Bershka. Colto dai fendenti dei getti della polare aria condizionata che anima lo spazio intorno a me, cammino con la mia accompagnatrice e, al solito, mi guardo intorno. Non c’è molta gente, e quella che c’è è disposta soprattutto a coppiette. Chi mano nella mano, chi cingendosi i fianchi, chi con la mani nella tasca dei pantaloni del proprio amato/a, chi ignorandosi cammina fianco a fianco, distante quel tanto che basta per far capire a potenziale interlocutori “ehi, va che sono libera, chi mi sta di fianco è soltanto un amico!”.
Prima – e praticamente unica! – tappa è il negozio di cui sopra. Classico spazio per abbigliamento femminile low-cost e urban-style addicted. Ovviamente la mia accompagnatrice parte subito a sbirciare, toccare, accostarsi abiti, a domandarmi se mi piace una cosa o meno. Ma è in trance, come tutte le donne che soffrono di saldomania, e quindi le mie risposte hanno l’effetto che hanno…
A questo punto è necessaria subito una parentesi: sono uno a cui lo shopping piace, soprattutto se fatto con la persona che sto frequentando, o comunque che susciti in me almeno interesse fisico-intellettivo-sociale. Fin dagli anni da teenager sono stato abituato a ritmi estenuanti, a prove, riprove, scontrini, sacchetti e commesse, a scarpe, magliette, canotte, borse, orecchini. Di tutto di più. E mi son fatto il callo, o più semplicemente ho imparato ad apprezzare questi momenti che, se passati nel giusto modo, possono costituire un ottimo viatico per tenere in piedi una coppia. Dono maggiore di tutto ciò, poi, è l’acquisita conoscenza del femminil gusto nell’abbigliarsi: ognuna è diversa, ognun ha il proprio stile, ma ognuna ha in sé atteggiamenti e gusti abbastanza stereotipati.
Chiusa la parentesi, mi pongo una domanda: cosa fa un ragazzo che accompagna una ragazza in un negozio di abbigliamento puramente femminile?! Beh, si guarda intorno!
Ed è esattamente ciò che ho iniziato a fare io.
Tolte un paio di amiche in solitaria e una madre con figlia, nel negozio vi sono esclusivamente coppiette. Tra l’altro molto eterogenee: l’alto con la bassa, il brutto con la bella, i due giovanissimi tamarrini tutti motorino e compagnia, la coppia più grande e già stanca di tutto questo già vissuto. Ed ecco ciò che mi porta a scrivere questo racconto…”Paolo, vieni, vado a provare questi…”. La seguo ai camerini, ovviamente rimanendo fuori.
E fuori siam tutti maschi. Io, l’alto, il brutto, il tamarrino e quello più grande. Non li guardo direttamente, ma dal riflesso di un grosso specchio e…
Uno, che sembrava il più sveglio, non appena la sua lady sparisce dietro al telo del camerino, entra in stato catatonico-depressivo; l’altro, il più duro di tutti, si appoggia alla parete col la testa e, guardando in altro, chiede al Creatore cos’ha fatto di male; un altro, invece, estrae non uno, ma due cellulari, e si perde tra tastini e schermi; l’ultimo, forse il più umano, sorridendo chiede ad un vicino: “scusami, sai che ore sono?”.
E poi fanno schiantare dal ridere le espressioni che velocemente cambiano non appena un fruscio del telo del camerino giunge alle loro orecchie. Chi si mette sull’attenti, chi si irrigidisce e si ricompone, chi mette via gli oggetti di trastullo. Ma tutti, e dico tutti, si pongono addosso la più grande faccia di tolla che possono permettersi: “ma certo, amore, ti sta da dio!”. Gli occhi sono però vitrei, vuoti, la voce è impostata come se fosse registrata, un brano da mettere in loop in queste circostanze.
Le compagne non se ne accorgono o, se se ne accorgono, non gli danno peso. Forse perché non si fidano del maschil gusto, o forse perché sinceramente dell’opinione dei propri compagni non gli interessa un’unghia. E’ solo la piccola punizione che l’uomo deve subire per le partite di pallone, le serate con gli amici, il calcio in tv…per essere intrinsecamente MASCHIO.
Mi guardo allo specchio, e scopro di essere il più fresco. Però…a vedere quelle 4 facce, una in fila all’altra come in una sessione di fotocatalogazione in carcere, mi vien da riflettere. E mi vien da pensare alla giovane generazione di maschi, che non sa cosa li aspetta, che non sa a quanti pomeriggi e giornate di alienazione andrà incontro. Ecco perché penso di creare un’associazione che tuteli il maschio che vuole, ma non sa come fare shopping con la propria compagna…Di seguito, brevemènde direbbe Lino Banfi, la proposta lancio...

E’ ora di farsi sentire! Sì, maschi italiani, è ora di far valere i nostri diritti. Come? L’AIFAS è la risposta! Iscrivendovi gratuitamente all’associazione, vi verrà consegnato un sudoku elettronico, accompagnato da uno yo-yo luminoso, e in più la guida “Come sopravvivere ai pomeriggi di shopping”, scritto da Gilberto Benetton e il romanzo “Vita in saldo”, autentico best-seller presso tutte le più grandi boutique del mondo. Entrerete poi a far parte della community virtuale, così potrete mettervi in contatto tra di voi mentre attendente l’uscita dai camerini delle vostre donzelle!
Non più facce alienate, ma solo facce di tolla!


Uomo, non mettere in saldo il tuo tempo, iscriviti all’AIFAS!


Per ricevere la tessera, contattami tramite questo spazio. NON SEI SOLO!

venerdì, agosto 11, 2006

L'attesa e la pazienza

Eccomi di ritorno. Sì, sono sparito per un po’. Dopo la catarsi inerente alla mia cara bicicletta rubata, ho deciso di prendermi un periodo di vacanza. Alt. Deciso. Questo periodo di vacanza mi era dovuto! Forse perché per sei mesi non sono stato uno studentello del cazzo (sic!), ma un lavoratore sotto(o per nulla)pagato. Non rimpiango niente, per l’amor di Dio. Anzi, tutto ciò che ho fatto in questi sei mesi mi è servito molto, e non ho timore di dire che ora sono per certi versi un’altra persona. Son lo stesso pirla di sempre, ma con qualche sfumatura – migliore o peggiore? – leggermente diversa. Ma non è di questo di cui devo parlare…son proprio arrugginito!
Ti dicevo, sono andato in vacanza. La solita – per fortuna! – vacanza ben organizzata, in luoghi di mari e spiagge meravigliose, a volte spettrali come le città dei pistoleri del Far West, a volte frementi come Rio durante il Carnevale. Di tutto un po’, come dovrebbe essere un periodo lontano dal lavoro e dallo studio. Con le persone giuste, gli amici in cui ripongo fiducia, gente simile a me, ma così diversa. E’ volata, questa vacanza. Non avevo voglia di tornare a casa, nonostante ci fosse un motivo che mi spingesse a farlo. Stavo bene.
Ed eccomi qui, a casa, davanti allo schermo del portatile, a ricompilare questo mio piccolo spazio. L’ho un po’ trascurato, lo devo ammettere. Ma gli ultimi mesi, tra lavoro ed università, sono stati full. Pieni. Senza respiro. Ora ho cinque minuti, forse di più, e mi sembra giusto ritornare da un caro amico. E ritornare a te, caro amico, che hai la pazienza di leggermi.
Ti devo fare una confessione: inconsciamente credo di essermi staccato dal blog perché tra aprile e ieri ho sviluppato un modo di vivere abbastanza pratico, che ha accantonato le domande e la ricerca delle risposte, che ha abolito il dubbio, il progetto a lungo termine, per dedicarsi esclusivamente al presente, al visibileudibiletangibile mondo che mi si presentava davanti agli occhi. Per un momento ho lasciato perdere l’interiorità. O forse è stata lei che mi ha chiesto umilmente lasciarla in pace per un po’. Perché tanto, di risposte definitive, non ne avrei mai trovate.
Da quando sono tornato a casa sono decisamente più tranquillo. E ho ripreso a far andare gli ingranaggi della testa e del cuore. E ho ricominciato a studiare. Già, lo studio…dannato studio. E’ da qui che dovevo partire…scusami per l’enorme prologo!
Ti dico. Oggi stavo studiando una dispensa per un esame sulla regia teatrale. Non che ne sia un innamorato, ma trovo che i libri di teatro spesso includano in sé grandi verità, buttate lì sottoforma di piccola frase, a cui un lettore attento non fa caso, ma a cui un lettore emo fa caso. Fin troppo.

“L’attesa è un gioco perduto in partenza. Chi attende e sa attendere, sfida il tempo e ne subisce il castigo spietato” (Federico Garcia Lorca)

Stavo leggendo e sottolineando il libro così easily da non accorgermi di questa perla: sono andato avanti, e avrò sottolineato altre 30 righe. Ma da quel punto in poi non ricordo nulla, è come se le righe successive non le avessi lette. Perché inconsciamente mi si è insediato un tarlo, un trapanino assillante che mi faceva interrogare circa le verità wanna be-comunicate (grazie Tugo!) da questa frase.
Chi ha tempo non aspetti tempo. Carpe Diem. Tutte collegate alla frase di Lorca. Tutte e tre mi dicono di vivere, di non aspettare, di prendere per non lasciare, di lasciare per non morire nell’assillo, di non attendere l’arrivo della risposta eterna perché devo stare sicuro che questa non arriverà mai. Mi vien voglia di dargli ragione, di dire che voglio vivere alla James Dean e cogliere ogni stilla di vita che il giro delle lancette mi consente di vivere.
Ma è proprio così? Più mi guardo dentro più mi dico di no. Perché vedo nella pazienza, nel saper attendere il momento, una delle mie caratteristiche – pregio? – fondanti. Sono un pescatore, cerco e aspetto una preda, la preda della vita, a volte, per ore e giorni, mesi e anche anni. Ma mai si è incrinata la mia voglia di ricerca, il mio vivere al 300% la mia passione. Sono uno studente, che per un certo periodo non studiava. Che con calma e senza frenesia si è impegnato per mettersi in pari e fare il massimo che le possibilità mi concedevano. Sono uno sportivo, che ha saputo aspettare in panchina il suo momento, senza mai perdere la voglia di allenarsi. Sono uno che ha sempre ottenuto, nel possibile, quello che e chi ha voluto. Mai subito, sempre dopo. Dopo lungo tempo. Dopo aver rimosso, ma rimanendo sempre me stesso.
E’ facile parlare ora che ho tutto. So che lo stai pensando. E’ facile dire che mi sento qualcuno, quando le mie due gambe mi reggono senza esitazioni.
Tu non sai quanto questo momento l’ho aspettato. E sapevo che sarebbe arrivato.
Sento, ora come ora, di aver vinto “il castigo del tempo” di cui parla Lorca. Perché il tempo è mio amico. Il più caro che ho, dopo quelli in carne ed ossa.
Ed è così anche per te, caro amico.
Non sbaglio.