L'angolo di Bertrando

Siamo solo bugie che attendono di essere svelate.

sabato, marzo 11, 2006

Trequattrozerotrequattrodueunoottosettenove. Paolo.

Sono tre giorni che mi perseguiti. Sì, tre giorni che ci ritroviamo alla stessa ora, nello stesso punto: io svogliatamente poggiato al vetro del treno, tu davanti a me, insieme alla tua migliore amica. Cosa vuoi da me? Mi guardi quando io non ti guardo. O sono una visione troppo riprovevole per i tuoi vergini occhi azzurri che sfumano nel grigio, o forse sei davvero imbarazzata per gli stessi sguardi che ti rivolgo io, quando tu non mi guardi. Ti vedo, riflessa nel vetro mentre osservi con curiosità le spille che pizzicano la mia borsa. Lì c’è una parte di me stesso: le mie passioni, i miei idoli, le mie esagerazioni. Chissà che tu non stia cercando di capire qualcosa di me, di quell’essere ingessato in un cappotto da gerarca russo che legge un libro di cui non riesci a scorgere il titolo; e che cerca di essere indifferente a te, che vorresti che lo fosse per trarti d’impiccio, ma che in realtà ti senti lusingata dalle sue attenzioni. Ho la pallida impressione che tu abbia capito poco, che ti sia fatta l’idea sbagliata che quelle spille mi costruiscono addosso. Non sei bellissima, chiara talea tra Avril Lavigne e Giovanna Mezzogiorno, eppure qualcosa di te mi ha colpito. Forse la timidezza che ostenti per coprire un’innata curiosità, i tuoi occhi dalle sfumature così particolari, o quei piccoli difetti del viso che ti rendono più bambina di quello che sei. Vorrei carpire le parole che stai sussurrando alla tua amica, vorrei poter carpire un tuo apprezzamento nei miei confronti, vorrei non togliermi le cuffie per sentire il tuo disagio per i miei occhi che ti scrutano. Mi piaci. E ho la sensazione che io ti incuriosisca. A differenza delle altre, tu non mi fai paura; ma inneschi piccole esplosioni di orgoglio nel mio ego perforato dai precedenti angeli che lo hanno dominato. Ora cosa faccio? Anche ieri è andata così, nello stesso identico modo. Anche ieri quel semplicissimo gioco che fa parlare due persone senza aprire bocca. Non so cosa tu voglia da me: se tu fossi la solita superficiale controfigura di quello che vedo, la classica vipera che fugge dopo avere morso? Io non ti temo. Io ti voglio. Anche oggi, più di ieri, più di quanto immaginassi. Io temo di volerti, ecco cosa mi frena. Ancora, mi stai osservando; credi che non ti veda? E’ inutile che provi a distrarmi fingendo interesse per il discorso della tua amica. Il paesaggio scorre dietro al finestrino. Una, due, tre stazioni, ancora poco e ti perderò. Solo per oggi. Solo per oggi? E se non ti dovessi vedere mai più? Se fossi un’imbeccata del destino, il biglietto per il treno che porta al paradiso? Come fai ad essere così importante…nemmeno ti conosco. Non so che nome hai, che passioni ti muovono le corde, dove vai ogni giorno con quella tua amica. Potresti avere anche una voce odiosa. Io non l’ho ancora sentita, mi nutro di te attraverso le melodie che abitano il mio lettore mp3. Mi piace pensare che sia sottile come i tuoi lineamenti. Hai la capacità di condensare il tempo, di farmi vivere il futuro che mai condivideremo e il presente che stiamo vivendo, nello stesso istante. Guardami, ti prego, continua a farlo. Anche ora che saluti, baciandola, la tua amica. E che ti alzi per recarti verso le porte che chiuderanno l’incontro dei nostri lampi. Vedo le tue spalle, ora. Fremo, non resisto, non puoi andare via così. Non farmi questo. No. Anche tu. No! Un piccolo salto ti porta giù dal treno, e i tuoi capelli biondo cenerino vibrano nell’aria. Vedo ogni istante al rallentatore. “Scusami…questo è per te”. E ti volti, sorpresa. Sorpresa perché speravi che fossi io? Sorpresa perché speravi che non fossi io? Non mi interessa, mi bastano la tua genuinità e il tuo sorriso a rendere il gesto meno imbarazzante. “…so bene che non è un bel modo…ma è l’unico che avevo…per conoscerti…”. Ora mi stai guardando – perché puoi, la situazione ha sdoganato la tua curiosità, ha scombinato il nostro gioco e ti ha spogliato di ogni vestimento di difesa – e vorrei che lo facessi per sempre. Ma le porte mi portano via da te, si chiudono. Ci evitano l’imbarazzo di una situazione forzata, pur spezzando il mio piccolo scorcio di paradiso. Mentre il treno mi allontana, pochi secondi mi consentono di scorgerti mentre leggi ciò che ti ho dato. Trequattrozerotrequattrodueunoottosettenove. Paolo.