L'angolo di Bertrando

Siamo solo bugie che attendono di essere svelate.

mercoledì, febbraio 15, 2006

Sull'altalena

Ho la nausea! Sempre su e giù, senza mai fermarsi un attimo. Un giorno felice, un giorno a pezzi, un giorno eroe, un giorno codardo, un giorno santo, un giorno diavolo. Mai la via di mezzo, mai pusillanime. O di qua o di là. Dopo un po’ non puoi non stare male, lo stomaco si attorciglia come una asciugamano imbevuto d’acqua, che cerchi di eliminare; e quell’acqua è delusione, livore, vomito di scorie, risultato di metabolizzazioni forzate. Per andare avanti.
Niente ci succede per caso. Continuo ad insistere che ognuno di noi abbia alle spalle una regia occulta che lo guida, un abile regista che muove i nostri fili di marionette lungo un storyboard ben definito ed immutabile. Chi dice che siamo noi a fare la nostra vita, che siamo padroni del nostro futuro, per me sbaglia. O semplicemente ha assimilato la delusione e la trasforma esteriormente in sicurezza malcelata: un po’come una casa orrenda dentro, ma splendente all’esterno. Far vedere per non far vedere.
Ritorno, a distanza di un mese, a parlare della mia vita come un Truman Show. Ogni tanto ci penso: ma se davvero io fossi solo il burattino di un progetto più grande, uno dei tanti pupazzi utili a creare una storia avvincente offerta a non so quale pubblico? Se davvero ogni cosa che faccio la faccio perché DEVE succedere? Dopo tutto, chi mi dice che la lavatrice non sia uno strumento di ripresa? E se il mio cane fosse semplicemente un’evolutissima cinepresa da steady shot? Nessuno mi ha mai detto il contrario…terribile!
Pensaci, deve essere tremendamente orrendo e affascinante. Immagino ogni cosa che faccio vista da qualcun altro. La mia routine di vita, dai movimenti più meccanici, alle estrosità straordinarie, ai momenti più intimi. Le mie gioie, i dolori, le soddisfazioni e le delusioni. Un mix ottimale per un pubblico bramoso. Me lo immagino. C’è quello che si immedesima in me, che gioisce e soffre come faccio io, che somatizza in sé la vita di un altro e di questo non può fare a meno. Dice “non è giusto”, quando la vita mi mette un muro davanti e “che bello!”, quando davanti ho una discesa. E’ colui – colei? – che prende su di sé la mia parte, vorrebbe molto probabilmente essermi confessore e dirmi: “ehi, guarda che tra un po’ ti capiterà questo, stai attento!”. E si morde le unghie perché non può farlo. C’è poi quello che non vede l’ora che la mia sceneggiatura esploda in momenti di difficoltà. Gode nel vedermi davanti alla rupe e spera che uno di quei chiodi che faticosamente punto per risalire, ceda: per vedermi ricadere, e quindi risalire. E’ quello che mi vuol vedere messo alla prova, e non esita a dire: “sta sbagliando tutto, io farei così”, oppure “ancora?! Ci è cascato di nuovo?!”. E’ colui la cui sete di storie lo sceneggiatore deve assecondare. C’è infine il sarcastico, quello che non perde occasione per criticare. Quello che dice “ma cosa lo guardi a fare”, per poi essere il primo a guardare per non essere tagliato fuori. Si immedesima, ma non te lo dirà mai. Critica, ma condivide il tuo operato. E’ sicuro perché sta “fuori”, vede un altro e sa che su di sé niente di quello che accade può avere effetto. Ma c’è anche chi non guarda. Ossia coloro grazie ai quali questa tortura potrebbe finire. Cosa fai a fare uno spettacolo, se non PER qualcuno?
Magari c’è anche una rivista che parla di me, di noi. Vedo i titoli. “Paolo non ce la fa più”, “Paolo innamorato”, “Paolo ci casca di nuovo”, “Scandaloso Paolo”, “E’ ora di svegliarsi, Paolo!”, “L’impresa più difficile, Paolo!”, e così via. Foto, resoconti, racconti e anticipazioni su quello che mi succederà, per creare quell’attenzione che manda avanti il baraccone.
Fico, eh? Fosse vero, non so come la prenderei. In giornate come questa ammazzerei tutto il team di produzione; in giornate come quella di ieri mi ridurrei il compenso, pur di continuare così, da prim’attore.Forse pensare che ci sia qualcuno che stia scrivendo la mia vita per me è un’arma psicologica per mascherare la mia insita incapacità di capire dove voglia andare.
Perché mi sembra tutto così lontano, irraggiungibile, sfuggente. E pensare che basterebbero un colpo di penna e due disegni: lo volesse anche il mio pubblico…

1 Comments:

Anonymous Anonimo said...

non so se siamo o meno padroni di qualcosa.
di certo, anche se lo fossimo, questo non importerebbe a nessuno di interessante.

2/19/2006 9:39 PM  

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