L'angolo di Bertrando

Siamo solo bugie che attendono di essere svelate.

lunedì, febbraio 20, 2006

Il dolore incommensurabile

Oggi ho capito cosa vedono i personaggi dei film d’animazione quando si fanno male. Quando si ritrovano per terra con le stelline che gli girano a ‘mò di aureola intorno alla testa: io oggi le ho viste veramente, tante quante le “Stars” della bandiera USA. E non scherzo!
“Da quant’è che ti fa male ed è in queste condizioni?”.
“Mah, saranno due settimane…dopo una partita di basket ha cominciato a farmi male, è uscito un po’ di sangue, ed ora è così…e le assicuro che mi dà un fastidio tremendo!”.
Silenzio. Sono sul lettino di uno degli ambulatori del reparto di Chirurgia del Niguarda di Milano, il mio piede destro tra le mani di un medico di chiare origini etrusche.
“Adesso mettiti comodo…testa appoggiata qui e sguardo verso l’alto”. (Evidentemente ha visto la mia posa non proprio rilassata, sarà che mi è venuta la mania con le Olimpiadi, ma avevo la gamba sinistra angolata a 90°, stile curling).
“Sì, in effetti sono un po’ impressionabile…”.
“Impressionabile...”. (La voce del dottore tradisce un certo smarrimento e divertimento alla pronuncia di questo aggettivo. E questo mi ha lasciato parecchi dubbi: ma esiste come aggettivo? O è lui che non ha aggiornato il database? Ma mi va bene, perché questi pensieri mi distolgono dalla preoccupazione per l’operazione).
“Che facciamo, lo asportiamo?”. “Dottore, sì, tanto dopo c’è solo la verifica di una ferita…per l’ernia”. “E’ un bel granuloma…mi passi – qualcosa di cui non ricordo il nome, cioè una fila di blister, sede di boccette contententi un liquido trasparente – ecco…”. “Certo”. L’infermiera agita un flacone opaco al cui interno alberga un liquido molto scuro, forse blu, mentre il dottore intanto shakera una delle boccette.
“Hai già fatto anestesie, vero?”.
“N-No…”.
“Ma come, nemmeno dal dentista?”. (Il suo viso è permeato ora da un sentimento di stupore, e forse di delusione o forse del tipo “’mò come faccio, non gli posso far nulla”).
“Eh…no!”.
“Che bravo”, dice l’infermiera sorridendo, come se avesse visto una cosa nuova, o molto probabilmente un clown. Il dottore intanto ha fermato lo shakeramento (!) della boccetta e guarda nel vuoto, verso il basso, al di sopra degli occhiali. “Sei allergico a qualcosa?”.
“Sì…a tutte le graminacee, a quattro alberi, agli acari della polvere, al pesce, ma è alimentare”. (E intanto il suo volto si fa smarrito, ingrigisce come gli alieni di X-files)
“Proviamo…mi passi – “, il dottore non fa in tempo a finire la frase che l’infermiera, con cui è evidente una bella intesa (sono veramente piacevoli da vedere, decisamente un bel team!), gli pone tra le mani un paio di forbici all’interno di una busta sterile. “Adesso rimettiti giù…stenditi bene e rilassati…SE TI FA MALE, dimmelo”.
Obbedisco, mi metto nelle sue mani: non ne posso più di quel dolore continuo che mi prende a tutte le ore, quello spillino infido ed invisibile che mi pizzica non appena mi muovo in modo più esuberante. Darà una sguardata, magari mi sposta un po’ la pelle, poi deciderà cosa fare, mi dico, rilassandomi e stendendo le braccia a penzoloni giù dal lettino, concentrandomi sull’elica che c’è sul soffito.
Da qui in poi il racconto è fatto senza poter contare sul senso della vista. Udito, tatto e odorato: quanto basta per ricostruire la situazione.
L’infermiera umetta un po’ di cotone con quel liquido blu – nel mio campo visivo scorgo il flacone – e spinge forte sul dito. Ahia, tra me e me, per sembrare più duro di quel che sono. Me lo starà pulendo…c’è molto sangue oggi. L’operazione continua per duetre minuti, e io sento sempre più dolore. E il dottore è sparito; o meglio, è lì ma non so cosa stia facendo, ha solo in mano quella forbice-pinza e la sta disinfettando.
Allora capisco quanto la testa sia più lenta di qualsiasi reazione animale. Sento infatti che l’infermiera si sta prendendo confidenze col dito, cioè lo sta violentando un po’ troppo. Ma gliel’ho detto che mi fa male, non lo capisce!?!? Stronza!, il tutto nei quartieri segreti del cervello. Ma mi deve aver sentito, perché mi tira un’occhiataccia tipo quella di Barbara Fusar Poli ieri sera, dopo la caduta nella prova di danza di pattinaggio artistico alle Olimpiadi. Ok, sto buono, è per il mio bene. Però qualcosa non mi quadra: non parlano più, e questa tizia sta continuando a massaggiare il dito, a pulirlo, e il dottore è lì che guarda, esamina, immobile. Sarà la prassi clinica, mi dico. MA POI CAPISCO. PER FORZA, CAPISCO. Con la coda dell’occhio vedo il dottore che si china e la pinza che va verso il mio dito…Hale-Bopp, scorgo la cometa. Nella stanza appare un klingon che accompagna Spock e il Capitano Kirk, che mi dicono di stare buono, che è un rito di iniziazione e che l’intero equipaggio dell’Enterprise è con me. Lord Fenner mi stringe la mano con caritatevole dolcezza. Scopro poi che non siamo soli, perché una band di grigi, verdi, venusiani, abitanti delle Pleiadi, intona un gospel in mio onore sul soffitto.
“Se ti fa male, dimmelo…”.
Mi è concessa la possibilità di parlare, posso mostrarmi in tutta la mia debolezza. “E’ un dolore pazzesco! Ahia! Ma…senza anestesia…che male!”.
“E’ quasi fatto, stai tranquillo, so che fa male, ma devi sopportare se vuoi che ti passi in fretta”.
Odiosa la sensazione di sentire e non vedere. Quel sentire che però TI CONSENTE DI VEDERE, che proietta sullo schermo della tua spina dorsale la situazione, come se la stessi vedendo, come se la stessi vivendo vedendo. Come se i nervi si concentrassero in un unico punto, il corpo sparisce per ridursi a dito. Sento la metallica freddezza e durezza dell’attrezzo, i movimenti del polso armonici ma decisi del medico, il tampone dell’infermiera che mi bagna i tessuti. Sento quella piccolissima parte di me impazzita che sta lasciando il corpo, strappata dalla sua casa con violenza. E sento tutto, sento che mi stanno portando via una parte del mio corpo, per quanto piccola, e che questa parte, nonostante il dolore, il mio corpo non vuole perderla. Stringo forte con le mani i tubi metallici che sorreggono il lettino, sudo, cerco di tenere il corpo rilassato. DEVO farcela. Dieci minuti che durano quanto Ben Hur. “Che dolore…che dolore della madonna!”: mi appare anche Lei, nella classica posa con le mani appena sotto il cuore, protese in segno di offerta. Mi sovviene un pensiero purgatoriale, “la via della purezza passa attraverso il dolore”, e mi sento più forte. Ridicolamente, perché sto soffrendo come un cane bastonato.
“Ecco, finito”, dice l’infermiera.
Non ho ancora il coraggio di alzare la testa, NON voglio vedere quello che mi han fatto, perché sento il sangue che scorre copioso, non si ferma, irrora la parte ferita come a coprirla per proteggerla. Il dito pulsa, ora non sento più lo spillo, ma il dolore tipico di una martellata. Il dito ferito e le altre dita intorno come un unico livido. E pulsa, pulsa, pulsa, anche nella testa.
“Fa male”, continua l’infermiera. (Evidentemente ha avuto l’umanità di capire che non ce la facevo più).
“L’esperienza più estrema della mia vita…che dolore!”.
“Oh, su, dai, pensa a tua moglie quando partorirà: quello sì che è dolore!”. (In tutte le cose, chissà come mai, le donne sono quelle che soffrono di più. E poi, sempre con questa storia del parto: ok, fa male, ma lasciatemi LIBERO di dire che se fa male, fa male! Dopotutto mi hai appena inciso un dito senza anestesia, non posso saltare sulle punte alla Barishnikov o farti plièe qui in ambulatorio).
Non so cosa dire, e mi invento la più grande cazzata che potessi dire, la cosa più scontata; ma è la classica frase che, detta ad una mamma, riempie il cuore. “Eh, ma vuol mettere…voi in quel modo date la vita, e non c’è anestetico migliore di una vita che nasce”.
Putti e angioletti – intravedo anche l’arcangelo Gabriele con un violino, ma è timido e se ne sta in un angolo – intonano inni alla gioia, alla vita, a... “Adesso torni qui mercoledì, e vediamo com’è la situazione…se l’infezione non si è estesa lasciamo le cose come stanno e in dieci giorni puoi ricominciare a correre…”. (Dai, mi hai dato la pillolina dolce, dammi il curaro, ora…). “…ma siccome il granuloma era in una posizione brutta, forse dovrai fare tutte le prove allergiche e poi tornare qui, ti toglierò una parte dell’unghia e quindi il tessuto infetto che c’è sotto”. (Sento il rumore di un mattone che mi casca sulla schiena, penso al campionato che inizia tra un mese, ai quattro giorni in snowboard a Carnevale, alle serate in casa con il piede nello scarpone nero che mettono agli arti ingessati). “Ma sono fiducioso…sei un duro, vedrai che torni a giocare presto!”.
“Ilary dov’è? Vorrei della Nutella…”, dico ridendo.
Il chirurgo china un po’ la testa in avanti, per guardarmi al di sopra delle lenti. Sorride. “Sì, ma a te mica t’ho messo una placca con otto viti!”.
Ogni tanto la sanità italiana sa anche essere simpatica!

Da qui in poi succedono molte cose di poca importanza (una medicazione enorme, l’attesa in sala per una mezz’oretta per prendere in tempo eventuali svenimenti, la spiegazione a mio padre della situazione, ecc.). Addosso ho solo una cosa: un dolore boia, un doppio pedale che picchia in sessantaquattresimi il dito martoriato. E anche ora, a distanza di quasi 8 ore, il dolore non accenna a mitigarsi. Ma è molto fantasioso perché cambia, si sposta lungo tutto il piede, poi si riconcentra sulla ferita, poi si estende alla schiena, mi picchietta e mi dice: “Prrrrrr! Son qua, prova a prendermi!”. Ora provo a dormire, con un piccolo topolino che mi rosicchia il piede.

3 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Hai visto, era un granuloma!pensa che io ne avevo due per alluce in entrambi i piedi!e per fortuna che ho evitato l'operazione, col cazzo che andavo a farmi martoriare le dita!

Che si inculino!

2/20/2006 9:16 PM  
Anonymous Anonimo said...

NON FA MALE!!NON FA MALE!!
ADRIANAAAA!!

Bravo Paolino!!E' Finita!

Avv. Anonimo

2/20/2006 9:51 PM  
Anonymous Anonimo said...

La sofferenza: questa è infatti l'unica causa della consapevolezza.

F. Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo

:)

2/20/2006 11:00 PM  

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