L'angolo di Bertrando

Siamo solo bugie che attendono di essere svelate.

martedì, dicembre 20, 2005

Un mondo grigio

Intercity Grosseto – Milano Centrale. Prima classe, carrozza 001, posto quarantacinque-finestrino. Sera. Condivido lo scompartimento con altre tre persone. Davanti a me due toscanissimi dipendenti di Trenitalia si stanno scambiando consigli riguardo ad un cruciverba su cui uno dei due è piantato da qualche minuto. Alla mia destra una signora dalla pelle abbronzata, sulla quarantina, dorme con le cuffie nelle orecchie, tenendo un volume talmente alto che riesco a sentire per tutto il viaggio – nonostante il gran rumore mentre il treno procede! – il cd live di Giorgia. Vorrei…illuminarti l’anima… “Buonasera”, dico sedendomi nel mio seggiolone. “E’ sicuro che sia il suo?”, dice uno dei due di Trenitalia. “Boh, qui c’è scritto quarantacinque-trattino-finestrino”. “Allora è questo”, si alza e cambia posto lasciandomi il mio. Che brutta sensazione il sedile caldo, ti sembra di avere addosso qualcosa non di tuo. “Grazie mille!”. Non parlerò più per le quattro ore successive.
Il lettore mp3 è scarico, uso il cellulare ma ho su solo quattro pezzi – messi in loop per quattro ore! “Vabè, ho due libri dietro”. Comincio con un libro di poesie, lo leggo tutto d’un fiato, tanto che in un’ora e mezza è finito. No, il treno non è un posto ideale per leggere poesie. Non riesco a concentrarmi, ad entrare nel “clima” del testo. Chissà perché. Eppure c’è un silenzio apprezzabile. Il treno non è poi così rumoroso. Poso il libro, e provo a chiudere gli occhi. Una, due, tre volte. Niente da fare, solo i miei vicini ci riescono. Ma come fanno? E soprattutto, cosa c’è che non va?
Decido di seguire l’istinto, e lascio quindi andare gli occhi in giro per lo scompartimento. E finalmente capisco.
E’ tutto grigio. Le pareti, le mensole, gli stipiti di porte e finestre. I sedili sono scuri, con piccoli pois più chiari, ma sempre grigi. I poggia-braccia, le maniglie, il pavimento. Grigio, grigio, grigio. Anche il vetro che funge da separeè col corridoio, che è verde acqua, assume colore grigiastro a causa di quello che ha intorno. Siamo noi viaggiatori che rompiamo l’ordine, che disturbiamo l’equilibrio. Insieme alle luci fuori dal finestrino.
Il grigio è un colore triste, si dice. Ma non mi sento triste, né oppresso; anche se avrei tutte le ragioni per esserlo. Il grigio è il colore della riflessione. Sì, dell’introspezione. Dell’egoistica masturbazione mentale. La mia mente comincia a viaggiare indietro e in avanti, si interroga, si stupisce, si sgrida da sola. Sono con altre persone, ma è come se fossi solo. Incredibile. Non c’è silenzio, perché il treno emette un rumore di sottofondo continuo e con poche varianti, ma è come se ci fosse. Il rumore non mi disturba.
Ripenso a tutte le stereotipiche situazioni in cui viene ritratto l’uomo sul treno. Solo, in fuga da qualcosa, guarda fuori dal finestrino e vede il paesaggio che cambia. E quel vetro che lo separa dal mondo esterno è un piccolo schermo cinematografico – uno specchio? – in cui vedere se stesso alla ricerca di un cambiamento. Spesso scende una lacrima, la malinconia l’assale. C’è un fondo di verità, in questo. A differenza dell’auto, dove l’impegno alla guida non consente una totale estraniazione dal mondo esterno, sul treno non hai responsabilità, ti fai trasportare. E a differenza dell’aereo, il treno non occulta il tuo percorso, ma ti consente di vedere dove stai andando e la vita che stai attraversando. Non puoi non scendere cambiato, da un viaggio in treno. O se non altro più lucido. Puoi leggere, scrivere, ascoltare musica, ma finisci sempre in te stesso.
Allo stesso modo il treno è un luogo sociale. Tutto quel grigio è colorato da NOI che vi siamo dentro, che lo animiamo. Non puoi non notare l’altro, non puoi non esserne incuriosito. Perché l’ambiente ti manda un messaggio, ti dice: “c’è un’altra particella colorata oltre a te, dagli un’occhiata!”. Non gli parlerai mai – come ho fatto io! – ma hai posto attenzione a chi hai davanti. Lo hai scansionato e ti sei chiesto cosa ti differenzia da lui. Non sei più uno fra tanti, ma uno fra questi. E ti senti un pochino più tranquillo. Meno solo.
E’ buio, le luci al di fuori sono solo piccoli lampi impazziti ed indefiniti. Cerco di capire dove mi sto facendo portare, cosa c’è la fuori, ma è tutto così schizofrenico da togliermi le forze. Due sole luci sono fisse, sono molto fioche ma illuminano ancora. Sono riflessi sul vetro. Due. Capisco che sono mie. Che sono ancora vivo.