Impasse
Da qualche giorno sono incagliato come il Titanic nella ghiacciata stesura di un testo. L’idea è nata improvvisamente, sulla base di un’emozione provata durante una discussione. L’ho incubata per qualche ora, al calduccio e al riparo dalla banalità, nel mio intimo. Quando mi sono ritenuto pronto, si è materializzata inizialmente sottoforma di poche frasi, pochi e semplici concetti che ne costituivano l’ossatura, per poi diventare un testo quasi completo. Sì, quasi, perché non so più come andare avanti. E’ raro, per uno che si trova a suo agio nello scrivere incipit e conclusioni, ma che trova enormi difficoltà nel gestire il tessuto molle dell’argomentazione. Eppure mi è capitato, e non so perché. Non riesco più a tradurre in parole quelle che sono le emozioni. Provo qualcosa e cerco di farlo capire, ma mi rendo conto di non trovare le parole adatte, perché quelle parole non ci sono. O sono troppo, o sono troppo poco, per questo pensiero. Ciò che mi sgomenta è la semplicità del tutto: niente metafisica, niente sofismo. E’ come se i giorni passati chino sui libri avessero inibito la mia capacità di raccontare, per ipertrofizzarne la componente analitica. Ma non era lo studio che apriva le porte al pensiero? O è forse il contrario?
Non mi dispero, e conto di finire presto questo testo che, ironia della sorte, tu non leggerai mai. Perché non lo capiresti. O meglio, le mie limitate capacità narrative non ti consentirebbero di fartelo capire. Questo “Impasse” è uno sfogo. Per cercare di capire come ti senti tu quando non riesci a dire quello che vuoi.
Nevica.
Non mi dispero, e conto di finire presto questo testo che, ironia della sorte, tu non leggerai mai. Perché non lo capiresti. O meglio, le mie limitate capacità narrative non ti consentirebbero di fartelo capire. Questo “Impasse” è uno sfogo. Per cercare di capire come ti senti tu quando non riesci a dire quello che vuoi.
Nevica.
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