L'angolo di Bertrando

Siamo solo bugie che attendono di essere svelate.

martedì, novembre 22, 2005

Se si gira la caviglia...

Ebbene sì, finalmente mi sono infortunato di nuovo. Terzo quarto di una partita a punteggio bassissimo e molto tirata. Siamo sotto di due punti e facciamo molta fatica a segnare. Non sono contento della mia prestazione, sto dando quantità ma non qualità sufficiente; bene in difesa, pasticcione in attacco. La tipica sensazione di chi sa di aver fatto un gran lavoro sporco, ma che passa però in secondo piano agli occhi del comune spettatore, perché la palla non va nel cesto. Largo sulla sinistra, aspetto con ansia lo scarico per un tiro da tre easy easy. Matteo penetra con violenza e buca la difesa ma viene chiuso dal loro pivot. Saggiamente scarica la palla a destra a Ivan che, dalla mattonella di fondo campo, prende un tiro pulito. Hai presente la sensazione che hai quando tutto va al rallentatore? Ecco, da quando Ivan riceve la palla tra le mani al momento in cui il pallone toccherà il ferro del canestro, mi sembra di vivere tutto in slow motion. Non so perché, ma un sesto senso cestistico mi dice che la palla finirà dalle mie parti, e che con un po’ di impegno l’avrei fatta mia e consentito alla squadra di fare un secondo tiro prima che finisse il quarto, sperando di riportarla così in parità. La parabola del tiro è buona, la palla rotea armoniosamente, ma batte sul secondo ferro. Dalla linea dei tre punti scatto e mi fiondo sotto canestro, perché QUELLA PALLA DEVE ESSERE MIA. Va tutto come spero: il tiro lungo, la traiettoria verso l’altro lato del campo, il difensore di spalle che non si aspetta il mio intervento a rimbalzo. Il tendine tira forte sul tallone e mi dà la giusta leva per spiccare un buon salto. Bellissima sensazione sentire il proprio fisico che fa quello che vuole la testa, sentire i muscoli che si contraggono e sprigionano forza e agilità, e per pochi istanti vincono quella forza che ci consente di non restare sulla Terra come panni in lavatrice. Il volo è interminabile, ma finalmente sento la pelle della palla a spicchi tra le mani. Prima la destra, poi la sinistra – STOC! – con un gesto a tenaglia pressurizzo la sfera tra le mie mani. E’ MIA! Ma se altrettanto lunga è stata la salita, la discesa lo è di più. In quei pochi decimi la testa pensa già ai secondi successivi: all’atterraggio, alla ricerca di un secondo tiro immediato, allo scarico per un compagno che entra a “rimorchio”, allo scarico per un tiro da tre stando attento ai “tre secondi”, o semplicemente ad un’uscita in palleggio per ridare aria all’azione. E molto spesso, quando pensi troppo in là, capita di dimenticarsi che c’è ancora qualcosa da fare. Il piede sinistro poggia a terra in modo soft, perché fisicamente sono davvero tonico. Con certa sicumera poggio quindi anche il destro. NO! C’è qualcosa che non va, sotto di me non c’è il pavimento della palestra! Calpesto una forma irregolare, il piede si piega all’esterno innaturalmente: cado sulla scarpa di un avversario! Sembrerà strano, ma in questi casi un barlume di lucidità lo si ha ancora per evitare il peggio. Appena me ne accorgo butto via la palla e cerco di spostare il peso all’indietro per cadere. Non è sufficiente – la caviglia mi si gira comunque – ma mi consente di non poggiare tutti i miei 65 chili sui 4 ossicini del malleolo. Boom! Volo per terra, e sento scricchiolare la caviglia. Non dolore, è solo un fastidio crescente. “Meglio così”, mi dico pensieroso, sperando così di poter continuare a giocare e rimettere quindi in piedi una prestazione opaca. Finisce il quarto, il fastidio c’è ma non mi impedisce di giocare. La caviglia pulsa, come se una creatura esterna si fosse introiettata nei tessuti. Sento la scarpa che lotta per contenerla e l’abbraccia mortalmente per sopire il suo grido di fastidio. Non fa male, la botta è calda, e l’adrenalina agonistica è un potente anestetico. Corro, salto, tutto come prima. All’apparenza. Finisce il quarto, e così la partita. Perdiamo di un punto, dopo una mia scelta forzata nel tiro da tre finale non andata buon fine. Doccia, cena con la squadra e tutti a casa. ORA FA MALE. Poggio a fatica il piede, sento i nervi vibrare ad ogni passo, le dita che timide cercano un appoggio sicuro al terreno. E’ come se il mio piede mi stesse facendo pagare il fatto di non averlo ascoltato nel match. Fa male tutto: pianta, malleolo, metatarso, tallone, tendine, dita. Come una cancrena violenta sento il dolore estendersi alla gamba destra. E la caviglia si ingrossa. Mi sta dicendo: “Guarda cosa mi hai fatto, sto male”. Stringo i denti e arrivo a casa. Massaggio l’articolazione con una pomata nella speranza di alleviare la sofferenza della povera caviglia, come se le stessi facendo un dono dopo una litigata. Vado a letto, e riapro gli occhi poche ore dopo. La mia “bimba” è ancora arrabbiata, urla di sofferenza. Scusami mia cara, sono stato egoista.

1 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Non hai più il fisico di una volta..

11/22/2005 3:18 PM  

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