L'angolo di Bertrando

Siamo solo bugie che attendono di essere svelate.

sabato, febbraio 24, 2007

Desiderando la parte mancante

La nebbia scende e cinge le mie spalle con un impercettibile abbraccio. Lo specchio d'acqua langue davanti a me, in attesa dell'Oscuro che lo trasformi, insieme a ciò che è intorno, in un'unica, informe massa. Le creature dell'acqua attendono miti l'avvento della Luna, rompendo la sottile tensione superficiale con piccoli capolini, presto inghiottiti dall'uniformità piatta dell'acqua invernale. Il bosco si anima di movimenti, uccellini cercano riparo tra i canneti, le nutrie tornano alle loro tane, in attesa della propizia Alba che risvegli le loro prede, topolini attraversano la lingua di terra che separa me e il lago, con una frenesia decisamente contrastante col lieve spegnersi del giorno. L'orizzonte piano piano non esiste più: le montagne, il bosco, le case, evaporate. Fuggite altrove.
Solo piccole luci artificiali rompono la dolce atmosfera del lento morire del giorno.
Sono solo. Io, il lago, il tramonto. Sono il solo umano. Mi lascio avvolgere, conscio di vivere ogni volta il miracolo che tutti vivono ma che non tutti notano. Godo di me stesso davanti alla grandezza del Mondo. Mi faccio forza, mi sento il Privilegiato, l'Unico, schiaccio sotto i miei piedi gli Altri, coloro che non possono vedere.
Impercettibilmente, il buio è intorno a me. Il mondo della luce ha lasciato il posto al mondo del suono. E' tutto uguale, davanti al più materiale dei miei sensi. L'orecchio per minuti è sordo al dolce mutare della natura. Fruscii, cigolii, cinguettii mesti, la voce della Notte.
Oggi qualcosa è diverso, non è come le decine e decine di altre volte.
Cosa non va? Cosa mi turba? Cosa rompe l'equilibrio che instauro ogni volta tra me e la natura?
L'abbraccio della nebbia mi rende insano, soffoco. Mi muovo come immerso nella gelatina, fatico e non mi oriento. Brividi sulla schiena, di freddo. Un forte fruscio alle mie spalle, di paura. Mi volto, ma è tutto uguale. Le luci della città mi rassicurano: è la che voglio andare. Perchè tutto questo a me, che la città sto cercando di fuggire?
Il vento lambisce ogni mia parte nuda e lacera l'epidermide, impercettibilmente, inesorabilmente, è il più crudele tra i torturatori. Il terreno è sabbia mobile, i miei piedi affondano, e cercano sicurezza passo dopo passo.
Accelero, voglio fuggire. Ma è tutto uguale, il buio.
Non respiro più, sento ogni piccola particella di nebbia ostruire ogni alveolo polmonare. Sì proprio lei, quella stessa nebbia da cui mi facevo cullare pochi minuti prima.
Corro, scappo, sono terrorizzato.
Sono solo. Solo. Solo.
Sono veramente solo.
Ed è a questo punto che mi riscopro seduto, fermo nelle stesse coordinate. Ancora lì, davanti alla placidità del lago. Con il triste pensiero di una giornata non goduta sino in fondo. Con il martellante pensiero di tutto quello che mi manca. Con la mia solitudine. Il mio desiderio folle di non essere solo davanti al nero che mi avvolge. Con me, me stesso, desiderando la parte mancante.