L'angolo di Bertrando

Siamo solo bugie che attendono di essere svelate.

martedì, novembre 15, 2005

Maieutica

Non sai quante volte mi sono chiesto: “ma studiare serve davvero?”. E in secondo luogo: “ha ancora valore al giorno d’oggi una formazione di tipo umanistico?”. Sono risposte che non mi puoi dare tu – so che sei un amico, mi proporresti lo scenario migliore possibile – né nessun’altro. Solo il tempo lo dirà. Però qualche segnale l’ho potuto già cogliere ora, nel presente, vivendo un’esperienza per certi versi straniante, ma dopotutto piacevole e confortante. Ecco allora quello che mi è successo nel pomeriggio di ieri.
“Sai cos’è che ci frega, caro Fabio?”. “No Buddy, cosa?”. “Siamo passati da un estremo all’altro”, dico io posando le mie membra sul sedile in uno dei primi scompartimenti del treno. “Vedi…siamo passati da gente che nel tempo libero non fa altro che parlare di Joe T Vannelli a gente che passa il tempo a discutere della Fenomenologia di Kant”. “Fenomenologia!”. “Chi è stato…siete voi? Chi studia Kant?!”. Questa volta a rispondermi non è Fabio, è una voce diversa a cui inizialmente non faccio nemmeno caso, ma che squarcia la nostra discussione e arriva a me inaspettata (ormai) come un regalo di S. Valentino. Giro lo sguardo e cerco la persona che ha risposto alla mia osservazione. Nel corridoio del treno vediamo un canuto signore sulla sessantina che sta venendo controcorrente (tutte le persone stavano andando nell’altro senso) verso di noi. Non faccio in tempo a guardare Fabio che…”Scusatemi se attacco bottone…ma i miei studi…eh, sono passati trentacinque anni…quasi quaranta…ma ditemi…come mai stavate parlando di Kant?”. Lo dico francamente, la prima considerazione che la mia testolina ha fatto è stata: “Oh mio Dio, ma questo che vuole da noi?!”. Sapendo di essere in bilico su di un precipizio pericoloso, io e Fabio ci schermiamo, dicendo semplicemente che le nostre erano reminiscenze degli studi passati, usate per argomentare una discussione sulla nostra università. “Ah, e che avete studiato?”, rincara la dose il signore. “Classico”, dico io. “Ah! Bene!”. Il suo volto si illumina come se avesse visto la Ferilli nuda. “E dove?”. “All’Omero di Bruzzano”, rispondo. Ora vede l’Arcuri: “ma pensa! Mia nipote…sì sì – è chiaro che non ricordasse il grado di parentela esatto, ma per lui non era importante in quel momento - …ha fatto l’Omero…e dimmi, chi era il tuo professore?”. “Ottima scuola, eh?”. “Ma c’è ancora?”. Mi pone una scarica di domande a cui rispondo immediatamente. Ormai è partito, non lo ferma più nessuno. Ha fatto il login con noi e ce lo dovremo portare fino in fondo. Già di mio non sono uno che parla tanto e che, anzi, preferisce starsene sulle sue, soprattutto sul treno. Tanto che cerco, guardando fuori dal finestrino, di eludere la sua pressione; ma sotto sotto sono anche incuriosito. Quell’omino tanto strano – è rarissimo trovare persone che attaccano bottone sul treno – CONDIVIDE QUALCOSA CON NOI. “Sapete, io ho fatto il classico ma son finito a lavorare in banca…però in sei mesi ne sapevo quanto quelli che erano già lì da tanto tempo…il classico ti abitua a pensare…studiare i grandi pensatori serve, eccome…riesci a pesare la persona che hai davanti…sapete, è importantissimo riuscire a dominare una discussione…ad esempio, io che ho fatto politica per tanti anni, mi trovavo a parlare con ingegneri, medici…e pur non avendo studiato le loro materie bastava una parola al punto giusto per appenderli lì…chirurgo, da keiros…”, e mi guarda tenendosi il polso sinistro con la mano destra. “Sai cosa vuol dire…dal greco…”. “Sì, mano”, rispondo sudato come ad un’interrogazione al liceo. Son preoccupato, perché il timore di non riuscire a dimostrare quello che so ad una persona più grande di me è sempre stato un mio freno. Però dopo questa risposta sono compiaciuto: qualcosa in testa mi è rimasto! WOW! Provo un altro tentativo di svicolare la discussione, e per fortuna ci pensa Fabio, che racconta dei suoi studi. “Eh sì, ti servirà l’istituto tecnico, vedrai…anche se ora non ricordi nulla…pensa a quando parlerai con un ingegnere…basta una parola al punto giusto e l’hai intortato…poi adesso mi sembra che siano più orientati al sapere umanistico…”. Anche Fabio è preso bene. “MA cosa state studiando?”, chiede il vecchio con aria veramente incuriosita, qualità rara da trovare anche nei nostri più interessati parenti. “Scienze della comunicazione”, dico. Il signore si allarma, dalla sua espressione quasi sembra di essere scesi di un gradino nella sua scala di gradimento. Edulcoro la pastiglia: “ci siamo laureati quest’anno…la laurea triennale…ora stiamo facendo una laurea specialistica in Scienze dello Spettacolo”. A fatica, ma vedo risalire le nostre anime su quel gradino. “Ce ne son tanti, vero?”, dice con aria preoccupata. “Sì”, dice Fabione. Io tento un fulmen: “Già, è vero…però sempre meno degli studenti di giurisprudenza!”. Dal volto dell’uomo noto che non ha una gran stima per gli avvocati… Ormai siamo comunque in un viaggione. Io cerco di galleggiare in una situazione che mi affascina ma allo stesso tempo mi mette a disagio. L’unico contatto che mi rimane con la realtà e non mi manda in affanno definitivamente è il ginocchio di Fabio. Ogni tanto me lo picchietta, e capisco che anche per lui è la stessa cosa: se affoghiamo, siamo in due!
Il treno è partito, e non ce ne siamo accorti. Il nostro amico ora sta discettando dell’arte del pensiero con Fabio. “Sai, il nostro pensiero è fatto a scatole”, afferma gesticolando ampiamente, “una più grande dell’altra…e quello che hai studiato rimarrà in una di queste scatole, e verrà fuori quando servirà…tutto sta a saperle richiamare…MAIEUTICA!”, e mi guarda. Oh mio Dio, ci siamo, ‘mo mi chiede cosa vuol dire. Cerco disperatamente risorse dalla morchia dei miei ricordi, ma non trovo nulla. Getto sul tavolo una scusa debole: “mi ricordo la parola…ma non la so connettere ad un concetto preciso…”. Il signore si illumina e, dal suo sedile, salta alla mia destra: gasatissimo, comincia a spiegarci la maieutica. “Sai cosa faceva Socrate? Ricordi?”, mimando un gesto “pull”. “Faceva nascere…”. E Fabio: “ma sì dai, ti ricordi?”. Io, obiettivamente rinvenuto dopo lo svenimento: “Già, è vero!”. L’arte di far nascere il pensiero. E ora chi se lo scorda più!
Fabio scende alla sua fermata, e sono solo. Preoccupatissimo. A disagio. Ma pur sempre affascinato dalla possibilità di sostenere una discussione con uno che ne sa più di me. E che stimo, perché non fa il professore, non mi schiaccia sotto la sua cultura. E’ come un nonno che vuole crescere bene i suoi nipotini; gli stiamo simpatici e vuole mettere a nostra disposizione i suoi ricordi. Umilmente, con quell’entusiasmo che solo l’amarezza della nostalgia di qualcosa di passato gli può portare. E’ giusto che gli dia – mi dia! – una possibilità. Gli parlo un po’ di me, gli racconto dei miei studi, di quello che sto facendo, e di quello che mi piacerebbe fare. Lui mi racconta del suo passato, dei suoi studi, dei suoi viaggi in Russia, in Spagna, dei suoi trascorsi politici, di sua moglie, del TAV e di alcuni personaggi storici della mia Paderno. La preoccupazione svanisce piano piano, perché finalmente sono a mio agio: perché penso sempre che gli estranei vogliano farmi del male? Nostalgia della giovinezza, ti dicevo. Mi racconta di un suo viaggio in Spagna e del “calore” delle donne iberiche. E sghignazza, sapendo di raccontare qualcosa di “giovane” che lo linka ancora di più a me. “Ma mia moglie non l’ho mai tradita…ci vuole rispetto per le persone…e noi italiani siamo i migliori al mondo in questo…non come gli anglosassoni”. “Fai come il tuo amico, vai in America, o in Inghilterra, almeno un anno…Noi italiani siamo i migliori, ma la cultura egemone è la loro…e solo conoscendoli possiamo dominarli, e conviverci…loro non hanno rispetto per la persona…non come noi latini…sono molto materiali!”. “Ah! Queste nuove tecnologie! Ho imparato settimana scorsa dopo 5 anni a scrivere un SMS!…Vedi io, noi…tutti quelli della nostra età…non riusciamo ad entrare nel meccanismo mentale…per i miei nipotini è facile…già, il tempo è passato…”. Il suo sguardo si vela di tristezza per qualche istante. “Però voi siete il futuro, è tutto nelle vostre mani! E dovete farcela!”, indicando me e altri due ragazzi che sono seduti vicino a noi (e che, va detto, erano imbarazzatissimi!). Scorgo l’insegna della stazione: devo scendere. E soprattutto devo salutare il mio nuovo amico. “Arrivederci, è stato un piacere parlare con lei!”, gli dico porgendogli la mano. Lui, ancora una volta, con umiltà: “scusatemi ancora se ho attaccato bottone, ma mi avete fatto tornare giovane…è raro sentire parlare i ragazzi di queste cose…vi ringrazio davvero”. Mi accingo a scendere gli scalini del treno. E la sua voce: “ragazzo, mi raccomando, non buttare via il tempo!”.
Scendo, stranito. E’ questa la cultura? Ciò che ci accomuna? Due stagioni di vita così diverse, ma la stessa voglia di comunicare? Il signore mi ha dato una risposta importante.
La cultura unisce, umanizza. Dà speranza, conforto, è l’appiglio per l’infelice e il trampolino di lancio per chi felice fortunatamente lo è. E’ condividere due storie diverse ma che hanno le stesse radici. E’ rispettarsi e non temersi a vicenda. E’ un modo per tornare giovani, è una risorsa per crescere. Mando un ilare SMS a Fabio. Ma dentro non lo sono proprio. Ci sono tante altre domande che meritano una risposta. Non posso buttare via tempo. No, proprio non posso.

1 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Bel racconto!

Un abile giornalista, durante una conferenza in Statale, aveva parlato della sua attività.
Era un tipo brillante e simpatico. Oltre a "lodare" gli studi di giurisprudenza, ha invitato noi studenti a non limitarci alla "gobba sui libri", ma di frequentare corsi, lingue, musica, organizzare con amici, ragazze, ecc..E' il miglior modo per ricevere stimoli, emozioni, ed avere nella vita una marcia in più.

Poi abbiamo scoperto che anche lui studiava tantissimo e andava agli esami preparatissimo!Ma il tempo non va buttato via..

Avv. Anonimo

11/16/2005 9:12 AM  

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